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Paradossi e controintuitività della finanza personale: perché investire è semplice ma non è facile

10 Paradossi e controintuività della finanza personale: perché investire è semplice ma non è facile


03Mar2025

Information
Andrea Gonzali Finanza comportamentale 255 hits
Prima pubblicazione: 03 Marzo 2025 Stampa

«Amante del paradosso è colui il quale ricerca e scopre la verità esponendola in modo da irritare l'opinione comune, costringendola a riflettere e a vergognarsi di sé stessa e della supina inconsapevole accettazione di errori volgari».

Luigi Einaudi

La finanza personale e gli investimenti sembrano, a prima vista, discipline relativamente semplici.

I principi fondamentali sono intuitivi: risparmia con regolarità, investi con prudenza, diversifica il portafoglio e mantienilo nel lungo termine.

Nella pratica, però, la gestione del denaro si rivela molto più complessa di quanto si possa immaginare: non tanto per la difficoltà dei concetti quanto per la loro natura controintuitiva.

Il nostro istinto, forgiato da millenni di evoluzione per affrontare sfide molto diverse da quelle dei mercati finanziari moderni, ci spinge spesso nella direzione sbagliata.

In questo articolo, esploreremo i principali paradossi e controintuitività della finanza personale e degli investimenti, spiegando perché le strategie più efficaci vanno quasi sempre contro il nostro senso comune, e come possiamo superare questi ostacoli cognitivi per prendere decisioni finanziarie più consapevoli.

Indice

  1. La qualità si paga? Non nel mondo degli investimenti finanziari
  2. L'efficacia della pigrizia
  3. Il coraggio di non toccare nulla durante le crisi
  4. L'efficacia dei PAC anche con piccole rate
  5. L'hedging non è necessariamente un costo
  6. L'intuito non è di alcun aiuto negli investimenti
  7. Investire vicino ai massimi è la norma, non l'eccezione
  8. I saldi della Borsa non attirano compratori
  9. La contraddizione tra due regole fondamentali dell'investimento finanziario
  10. Andare in banca per una consulenza finanziaria: quando la soluzione più ovvia diventa il tuo problema
  11. Conclusioni

1. La qualità si paga? Non nel mondo degli investimenti finanziari

Quando investiamo, il rapporto tra costo e valore segue dinamiche opposte a quelle che conosciamo nella vita quotidiana.

Mentre per beni come automobili, abbigliamento o tecnologia un prezzo più elevato spesso indica una qualità superiore, nel settore finanziario questa logica viene completamente ribaltata.

I fondi comuni d'investimento a gestione attiva, che comportano commissioni maggiori per remunerare analisti e gestori professionisti, generalmente producono rendimenti inferiori rispetto ai più economici fondi passivi. In breve, la loro qualità è peggiore.

Come ha efficacemente sintetizzato Jack Bogle, fondatore di Vanguard: "In investing, you get what you don't pay for", che possiamo tradurre con "Negli investimenti, ottieni ciò per cui non paghi".

Per comprendere l'impatto devastante delle commissioni, consideriamo un esempio concreto: ipotizzando un rendimento lordo annuo composto (CAGR) del 7%, su un investimento di 100.000 euro una differenza di costi dell'1,4% (ad esempio, tra un fondo attivo all'1,5% e un ETF allo 0,1%) erode oltre 88.000 euro di capitale nell'arco di 20 anni, .

Questa differenza cresce esponenzialmente su differenze di costi maggiori e orizzonti temporali più lunghi, a causa dell'effetto della capitalizzazione composta.

2. L'efficacia della pigrizia

Può sembrare paradossale, ma nel mondo degli investimenti l'iperattività penalizza le performance invece di migliorarle.

Questa idea va contro tutto ciò che la società ci ha insegnato sul valore dell'impegno e del lavoro.

I cosiddetti "Lazy portfolios", portafogli che si basano su una semplice diversificazione tra poche asset class replicate da strumenti finanziari economici che richiedono interventi minimi, hanno storicamente performato meglio di numerose strategie più sofisticate e gestite attivamente.

Le ragioni di questo successo sono molteplici:

  • Ogni operazione comporta dei costi di transazione.
  • Gli alti costi di gestione hanno un enorme impatto sul rendimento di lungo termine.
  • Le movimentazioni frequenti in acquisto e in vendita aumentano la probabilità di errori.
  • Il market timing è notoriamente difficile anche per i professionisti.
  • Le plusvalenze, una volta realizzate, subiscono un'immediata tassazione che riduce il capitale destinato a crescere grazie alla capitalizzazione composta.

Un caso emblematico è rappresentato dal classico portafoglio 60/40 (60% azioni globali, 40% obbligazioni globali): la sua semplicità si è rivelata un punto di forza, garantendo rendimenti competitivi e una volatilità abbastanza contenuta attraverso cicli di mercato sia positivi che negativi.

3. Il coraggio di non toccare nulla durante le crisi

Quando i mercati crollano, il nostro primo impulso è quello di agire per proteggere il capitale investito.

Questo riflesso, prezioso per l'imprenditore che deve reagire prontamente ai cambiamenti del mercato per adattare le proprie strategie di vendita, si trasforma paradossalmente in un pericoloso nemico quando si tratta di investimenti finanziari.

La storia dimostra che i momenti di massimo panico sono spesso i peggiori per vendere e i migliori per comprare. Il crollo legato al COVID-19 del marzo 2020 ne è un esempio perfetto: chi ha mantenuto il sangue freddo ha recuperato l'intero capitale in pochi mesi, mentre chi ha ceduto al panico ha consolidato le perdite, non beneficiando della straordinaria ripresa successiva.

Esistono casi ancora più eclatanti: durante lo scoppio della bolla delle dotcom, Amazon perse quasi il 95% del suo valore. Gli investitori che non si fecero sopraffare dal panico videro il loro capitale crescere centinaia di volte nei vent'anni seguenti.

4. L'efficacia dei PAC anche con piccole rate

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i Piani di Accumulo del Capitale (PAC) mostrano la loro forza anche con piccoli versamenti mensili, nonostante le commissioni di transazione possano apparire alte in percentuale rispetto alla singola rata.

Consideriamo un PAC da 100 euro mensili con 3 euro di commissioni per rata versata: quel 3% potrebbe sembrare eccessivo.

Il nostro cervello utilizza delle scorciatoie mentali, dette “euristiche”, per valutare rapidamente se una commissione del 3% sia alta o bassa. Questa valutazione istintiva – operata da quello che Kahneman chiama “Sistema 1” – ci porta a considerare eccessivo qualsiasi costo che superi alcune soglie psicologiche, come appunto il 3%.

Ma questo giudizio immediato non distingue tra tipologie diverse di commissioni: il 3% è effettivamente esagerato quando si parla di commissioni annuali di gestione, ma diventa accettabile nel caso di commissioni una tantum sulle singole transazioni.

Per valutare correttamente l’impatto di questi costi serve un’analisi più approfondita, che coinvolga la parte lenta e logico/matematica della nostra mente: il “Sistema 2”: solo così possiamo comprendere il vero effetto di lungo termine di commissioni di transazione di 3 euro su una rata di 100.

Attivando il “Sistema 2”, possiamo considerare che:

  • Le commissioni di transazione si pagano una sola volta per ogni versamento, non annualmente come le commissioni di gestione.
  • Optare per versamenti trimestrali o semestrali per contenere i costi di transazione può rivelarsi controproducente. Attendere di accumulare somme maggiori significa infatti rinunciare a mesi di potenziale crescita del mercato, che nel lungo periodo tende a salire.

Un calcolo dettagliato mostra che, su un PAC ventennale da 100 euro mensili, l’impatto delle commissioni di 3 euro per operazione sul rendimento annualizzato (CAGR) diminuisce progressivamente con l’estendersi dell’orizzonte temporale, rendendo questo costo ampiamente giustificabile alla luce dei vantaggi offerti dalla strategia.

Queste sono le performance di PAC costruiti sull’ETF SWDA con rate di 100 euro al mese con 3 euro di commissione per rata:

I valori evidenziati in verde rappresentano, nella parte superiore, il rendimento cumulato e il tasso di crescita annuo composto (CAGR) medi, mentre nella parte inferiore mostrano la somma finale lorda, netta e l’ammontare delle commissioni per i PAC con durata di 15 e 20 anni.

La tabella contiene molte altre informazioni rilevanti nelle diverse righe e colonne, ma per la nostra analisi ci focalizzeremo specificamente su questi elementi chiave, mettendoli a confronto con i corrispondenti valori degli stessi PAC privi di commissioni di transazione:

Le differenze tra PAC con e senza commissioni non sono così marcate come molti pensano. Su 15 e 20 anni, i rendimenti cumulati passano dall’80,28% e 130,38% all’85,68% e 137,30%, mentre i CAGR salgono dal 6,94% e 7,53% al 7,31% e 7,78%.

Potrebbero sembrare variazioni importanti ma, in termini monetari, le somme finali nette aumentano da 32.883 e 56.231 euro a 33.423 e 56.951 euro: appena 540 e 720 euro in più, rispettivamente, che non a caso corrispondono alle commissioni di transazione di 3 euro moltiplicate per 180 e 240 rate.

Ricordiamo che stiamo parlando di rate di soli 100 euro mensili: più la cifra cresce, minori diventano le differenze percentuali nei rendimenti.

Naturalmente, se queste commissioni si possono evitare, conviene approfittarne. Ma se questi piccoli risparmi comportano, ad esempio, il dover effettuare versamenti manuali invece che automatici, allora il vantaggio potrebbe venire meno: quanto tempo si perde a fare questi versamenti mensili per 15 o 20 anni? Quanto costa utilizzare una piattaforma non qualificata per operare come sostituto d’imposta che ci obbliga a denunciare i redditi finanziari in regime dichiarativo? Quante volte salteremo una rata perché “questo mese ho troppe spese” o “sono in vacanza e farò il versamento quando torno” nell’arco di 15-20 anni?

Probabilmente, più di quanto immaginiamo.

In definitiva, risparmiare sulle commissioni di transazione di un PAC potrebbe non essere un grande affare come sembra.

5. L'hedging non è necessariamente un costo

La copertura del rischio (hedging) viene spesso vista esclusivamente come un costo che si aggiunge al TER degli strumenti finanziari utilizzati, simile a quello di una polizza assicurativa.

Questo perché quando pensiamo all’hedging, ci riferiamo solitamente alla copertura del rischio valutario legato al dollaro, strategia che nell’ultimo decennio è risultata particolarmente onerosa per gli investitori dell’area euro.

Questa visione, sebbene in parte corretta, è riduttiva. Il costo dell’hedging è in larga misura legato al differenziale di tassi a breve termine tra Stati Uniti e area euro e, negli ultimi anni, il tasso americano è stato più alto di quello europeo.

Non è detto che questo scenario persista in futuro: le condizioni potrebbero cambiare. Inoltre, esistono valute per le quali l’hedging comporta un rendimento aggiuntivo anche per gli investitori dell’area euro, come nel caso dello yen giapponese.

Il paradosso è che, a differenza di un’assicurazione che rappresenta sempre un costo, l’hedging in alcuni casi può generare un rendimento supplementare per l’investitore.

Tuttavia, questo non dovrebbe essere il motivo principale per decidere se coprire o meno una certa valuta: l’hedging ha lo scopo primario di minimizzare il rischio di cambio, che può influenzare sia il rendimento che la volatilità e molti altri indicatori di rischio di un investimento.

6. L'intuito non è di alcun aiuto negli investimenti

L’intuito, prezioso in numerosi ambiti della vita, può trasformarsi in un pericoloso nemico quando si parla di investimenti.

Il nostro cervello, evolutosi per identificare schemi e reagire velocemente in situazioni rischiose, ci trae spesso in inganno nel contesto dei mercati finanziari.

Tra i bias cognitivi più dannosi troviamo:

  • L'overconfidence bias: riponiamo una fiducia eccessiva nelle nostre conoscenze, intuizioni e capacità decisionali, sopravvalutando la precisione delle nostre previsioni e sottovalutando i potenziali rischi.
  • Il bias di conferma: ricerchiamo selettivamente dati che avvalorano le nostre opinioni.
  • L’ancoraggio: attribuiamo eccessiva importanza a cifre o prezzi di riferimento arbitrari.
  • L’avversione alle perdite: reagiamo con maggiore intensità alle perdite rispetto ai guadagni equivalenti.
  • Il bias di disponibilità: sopravvalutiamo eventi recenti o facilmente richiamabili alla memoria.

Per tali ragioni, gli approcci metodici e fondati su piani prestabiliti tendono a ottenere risultati superiori rispetto alle strategie che si affidano all’istinto o alla percezione soggettiva dell’andamento del mercato.

7. Investire vicino ai massimi è la norma, non l'eccezione

Uno dei timori più comuni tra gli investitori è quello di entrare nel mercato “troppo tardi”, quando i prezzi hanno già raggiunto livelli record. Questa preoccupazione, sebbene comprensibile, si basa su un’interpretazione errata delle dinamiche dei mercati finanziari.

Analizzando la storia dello S&P 500, scopriamo come il mercato trascorra gran parte del tempo in prossimità dei suoi massimi storici. In un’economia tendenzialmente in espansione, è naturale che i mercati crescano nel lungo termine, stabilendo nuovi record in continuazione.

Un investitore che avesse atteso “il momento giusto” per entrare nel mercato si sarebbe perso gran parte dei rialzi degli ultimi decenni. Probabilmente, starebbe ancora aspettando.

Diamo un’occhiata al grafico seguente, che inizia nel 1957:

Lo S&P 500, il principale indice azionario statunitense, ha realizzato 1.242 nuovi massimi tra il 1957 e gennaio 2025. Questi valori sono rappresentati dalle linee verticali blu: ciascuno di questi picchi è stato superato successivamente da uno ancora più alto.

È impossibile prevedere quanto tempo intercorrerà tra un picco e il successivo. Generalmente, si tratta di periodi brevi, ma con alcune notevoli eccezioni: 7 anni e mezzo tra il 1973 e il 1980; 7 anni tra il 2000 e il 2007; 5 anni e mezzo tra il 2007 e il 2013.

Contrariamente a quanto molti credono, i massimi di mercato non sono eventi eccezionali ma rappresentano la normalità nell’evoluzione dei mercati finanziari.

Attendere una correzione o una crisi per entrare nel mercato potrebbe significare rimanere ai margini per anni, perdendo importanti opportunità di crescita.

Inoltre, l’idea che sia più facile investire durante una fase ribassista è spesso illusoria: quando i mercati crollano, la paura e l’incertezza prendono il sopravvento, rendendo paradossalmente più difficile investire, anche quando i prezzi sono notevolmente più bassi.

Si tratta di un ragionamento controintuitivo, ma una volta compreso porta a una conclusione sorprendentemente semplice: se non avete ancora investito, il momento migliore per farlo è probabilmente oggi. Non domani, non quando ci sarà una correzione, non quando le condizioni sembreranno più favorevoli, ma oggi.

La storia ci insegna che i mercati trascorrono molto tempo intorno ai loro massimi, e ogni giorno passato in attesa del “momento perfetto” è un’opportunità persa.

8. I saldi della Borsa non attirano compratori

È curioso osservare come ci comportiamo in modo diametralmente opposto quando si tratta di saldi nei negozi rispetto a quelli in borsa. Mentre tutti corrono a comprare quando i vestiti sono scontati del 50%, pochi hanno il coraggio di investire quando le azioni sono in saldo durante una crisi di mercato.

Questa differenza di comportamento si spiega con la natura sociale degli investimenti e con l’effetto gregge: quando tutti vendono, il nostro istinto ci spinge a fare lo stesso, anche se razionalmente sappiamo che potrebbe essere semmai il momento migliore per comprare.

La storia offre numerosi esempi: chi ha avuto il coraggio di investire durante la crisi finanziaria del 2008-2009, quando le valutazioni erano ai minimi, ha beneficiato di rendimenti straordinari nel decennio successivo. Lo stesso è accaduto durante il panico causato dal COVID-19 nel marzo 2020.

Questo paradosso riflette una delle contraddizioni più profonde della psicologia dell’investitore. In un centro commerciale, uno sconto importante viene percepito come un’opportunità da cogliere al volo: riconosciamo immediatamente il maggior valore che otteniamo per il nostro denaro.

In borsa, invece, lo stesso sconto diventa motivo di apprensione e sfiducia. Ci diciamo: “Se il prezzo è crollato così tanto, ci deve essere qualcosa che non va. Forse scenderà ancora di più. Meglio aspettare.”

Il fattore emotivo gioca un ruolo determinante. Quando acquistiamo un capo d’abbigliamento scontato, la gratificazione è immediata e concreta. Negli investimenti, non è così: le quote degli strumenti finanziari che acquistiamo non sono tangibili e comprarle durante una crisi richiede di andare controcorrente, sopportando l’incertezza del momento e confidando in un futuro migliore che potrebbe realizzarsi solo dopo mesi o anni.

Questo comportamento richiede pazienza, disciplina e una forte convinzione nelle proprie conoscenze: qualità rare tra gli esseri umani, che scarseggiano ancora di più proprio nei momenti di maggiore turbolenza dei mercati.

9. La contraddizione tra due regole fondamentali dell'investimento finanziario

Uno dei paradossi più sottovalutati negli investimenti è il seguente:

  • È fondamentale iniziare a investire il prima possibile per sfruttare la magia della capitalizzazione composta.
  • È necessario comprendere bene ciò che si sta facendo prima di investire.

Se per voi la seconda condizione non è essenziale, questo punto non vi sembrerà contraddittorio. Vi invito comunque a considerarlo come tale, specialmente se avete trovato convincenti gli otto paradossi discussi finora.

La tensione fra i due principi precedenti rappresenta una delle sfide più difficili per chi si avvicina al mondo degli investimenti.

La capitalizzazione composta funziona tanto meglio quanto più è lungo l’orizzonte temporale: ogni anno “perso” in attesa di sentirsi sufficientemente preparati rappresenta un costo opportunità significativo che nessuna conoscenza futura potrà mai recuperare completamente.

Allo stesso tempo, lanciarsi nel mercato senza una comprensione adeguata può portare a errori costosi e potenzialmente traumatici, con il rischio di scoraggiarci dall’investire in futuro.

Personalmente, sostengo l’importanza di prendersi tutto il tempo necessario per capire. Il tempo per capire non è quantificabile a priori: sarete voi a sentire quando l’investimento non è più un puro atto di fede nei confronti del vostro consulente o un agire di istinto, ma una vostra scelta ponderata e consapevole.

Il tempo dedicato a capire non sarà mai tempo sprecato. In un investimento, è il tempo impiegato nel miglior modo possibile.

Quando ci si trova in una situazione di impasse tra l’investire il prima possibile e l’investire quando si è compreso bene cosa si sta facendo, una possibile soluzione consiste nell’adottare un approccio graduale:

  1. Iniziare con investimenti semplici e ben diversificati (ad esempio un PAC mensile o trimestrale su uno o più ETF globali).
  2. Studiare e approfondire mentre si accumula esperienza pratica.
  3. Se si dispone di un capitale iniziale superiore a quello destinato al PAC, aumentare gradualmente l’ammontare investito man mano che crescono le proprie competenze.

Questo approccio permette di beneficiare da subito della capitalizzazione composta mentre si costruisce progressivamente la propria educazione finanziaria.

Conosco già le possibili obiezioni e la narrativa ben consolidata che le sostiene:

  • Perché devo aumentare la mia competenza finanziaria per investire? Sto pagando un consulente proprio perché la finanza personale non mi interessa.
  • Non ho tempo per migliorare la mia educazione finanziaria. Il tempo che ho a disposizione lo investo nel mio lavoro, perché è ciò che so fare meglio e che mi permette di guadagnare e risparmiare.
  • Nella vita bisogna delegare: è per questo che esistono commercialisti e meccanici, medici e avvocati. Non si può fare tutto da soli. Perché dovrei mettermi a studiare proprio la finanza personale?
  • Gli investimenti sono troppo complessi e pieni di termini tecnici. Preferisco affidarmi a chi ha studiato per anni queste materie piuttosto che rischiare di fare errori da principiante.

La lista potrebbe continuare a lungo.

Ebbene, che lo si accetti o meno, gli investimenti finanziari possiedono una natura del tutto particolare. A differenza di altre attività quotidiane, sono intrinsecamente controintuitivi e ricchi di paradossi.

Se applicate agli investimenti lo stesso approccio che utilizzate in altri ambiti della vostra vita, fallirete.

La componente emotiva gioca un ruolo decisivo in questo campo. Il vostro rapporto psicologico con il denaro e la vostra visione del mondo determineranno in larga misura come reagirete alle inevitabili turbolenze dei mercati finanziari.

La finanza comportamentale studia precisamente questi aspetti. È un campo vastissimo e affascinante che vi invito a esplorare, se non ne conoscete ancora i principi fondamentali.

Avere un consulente, quindi, potrebbe non bastare. È molto improbabile che senza un’adeguata consapevolezza riusciate a portare fino in fondo, con successo, un investimento finanziario.

La conoscenza rappresenta, infatti, lo strumento più efficace per affrontare le sfide psicologiche che emergono durante i periodi turbolenti dei mercati.

Il consulente può aiutare; un coach vi stimolerà a non mollare. Ma senza un’adeguata comprensione delle dinamiche dei mercati finanziari, è molto probabile che durante una crisi il panico prenda il sopravvento, spingendovi ad abbandonare prematuramente la vostra strategia di investimento.

10. Andare in banca per una consulenza finanziaria: quando la soluzione più ovvia diventa il tuo problema

Molti risparmiatori si rivolgono alla propria banca per ricevere consulenza finanziaria, convinti che sia la soluzione migliore per ottenere consigli imparziali. Questa convinzione, per quanto possa sembrare logica, si scontra con una realtà molto diversa.

Le banche sono aziende con l’obiettivo di massimizzare i propri profitti. Questo le porta naturalmente a promuovere prodotti finanziari che generano alte commissioni ricorrenti, anche quando esisterebbero alternative più efficienti per il cliente.

Il conflitto d’interessi è intrinseco al loro modello di business.

L’esempio classico è quello dei fondi comuni d’investimento: da quando esistono, le banche promuovono fondi a gestione attiva con commissioni annue del 2-2,5% e oltre quando, ormai da quasi un quarto di secolo, esistono anche in Italia ETF con caratteristiche simili e costi inferiori allo 0,2%.

Su un investimento di lungo periodo, questa differenza può costare al risparmiatore centinaia di migliaia di euro.

Quando ci troviamo di fronte a decisioni finanziarie importanti, il nostro istinto ci porta spesso verso ciò che percepiamo come familiare e sicuro. La banca rappresenta per molti questa figura di autorità e affidabilità, essendo l’istituzione a cui già affidiamo i nostri risparmi.

Purtroppo, questa percezione deriva da una scarsa consapevolezza dei meccanismi di incentivazione che orientano le strategie commerciali degli istituti bancari.

Il problema principale risiede nell’asimmetria informativa tra cliente e consulente bancario.

La maggior parte dei risparmiatori non possiede le competenze necessarie per valutare con spirito critico i prodotti offerti, né per comprendere appieno l’impatto delle commissioni di gestione sul rendimento a lungo termine, anche quando queste informazioni vengono effettivamente comunicate.

Questa asimmetria crea un terreno fertile per pratiche commerciali che privilegiano la redditività dell’istituto e del consulente, a scapito dell’efficienza del portafoglio del cliente.

Qual è la soluzione?

Rivolgersi a consulenti finanziari indipendenti, remunerati direttamente dal cliente e non dalle commissioni sui prodotti collocati.

Questo approccio crea un migliore allineamento tra gli interessi del consulente e quelli dell’investitore, poiché il professionista riceve un compenso trasparente che non dipende in alcun modo dagli strumenti finanziari suggeriti.

Conclusioni

I paradossi e le controintuitività della finanza rappresentano un ostacolo che molti investitori faticano a superare: la loro comprensione rappresenta il primo fondamentale passo verso il successo.

La chiave sta nel riconoscere che i nostri istinti, per quanto preziosissimi in altri ambiti della vita, sono spesso fuorvianti quando applicati alle decisioni d’investimento.

Questa realtà affonda le sue radici nella nostra evoluzione biologica: il cervello umano si è plasmato per millenni in risposta a minacce concrete e immediate, ben diverse dai rischi astratti e probabilistici che caratterizzano i mercati finanziari contemporanei.

Il nostro sistema di allerta emotiva – quello che attiva reazioni istintive dinanzi alla paura o all’euforia collettiva – si è perfezionato per affrontare un ambiente popolato da predatori e segnato dalla scarsità di risorse.

Questo stesso meccanismo si rivela del tutto inadatto quando si tratta di valutare rischi e opportunità su orizzonti temporali di lungo termine.

L’educazione finanziaria, combinata con un approccio disciplinato e sistematico, permette di sfruttare strategie d’investimento più efficaci, basate non sul nostro istinto ma su solide evidenze empiriche e principi consolidati.

Si tratta di un percorso formativo che non ha niente a che vedere con la memorizzazione di formule o con l’apprendimento di una terminologia tecnica: rappresenta una profonda trasformazione del nostro modo di pensare, che ci consente di riconoscere e disattivare le reazioni automatiche che emergono durante gli investimenti.

Riconoscere l’impulso alla fuga durante un crollo di mercato o le tentazioni mosse dall’euforia durante i rialzi è il primo passo per impedire che queste emozioni prendano il controllo delle nostre decisioni.

Se investire fosse realmente intuitivo, gli investitori di successo nel lungo termine non sarebbero così rari. Il cammino verso l’indipendenza finanziaria richiede non solo conoscenza, ma anche piena consapevolezza dei propri limiti cognitivi.

Chi costruisce ricchezza duratura non è necessariamente più intelligente o fortunato, ma ha sviluppato l’abilità di agire contro il proprio istinto, trasformando i paradossi finanziari da ostacoli a vantaggi competitivi.

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