La Scuola Austriaca di economia: origini, sviluppi ed eredità
- Information
- Storia del pensiero economico 170 hits
- Prima pubblicazione: 23 Marzo 2025
«All things are subject to the law of cause and effect. This great principle knows no exception».
Carl Menger
La Scuola Austriaca rappresenta una delle correnti più originali e durature del pensiero economico moderno.
Nata nella seconda metà dell’Ottocento con l’opera di Carl Menger, si è distinta per un approccio centrato sull’individuo, sulle scelte soggettive e sull’evoluzione dinamica dei fenomeni economici.
Vediamo ora più da vicino le origini, lo sviluppo e i principali contributi della Scuola Austriaca al pensiero economico.
Indice
- Introduzione: Menger e la Scuola Austriaca
- Il Methodenstreit e i critici di Menger
- Gli Austriaci di seconda generazione: Wieser e Böhm-Bawerk
- La divergenza della Scuola Austriaca rispetto all'economia tradizionale
- L'eredità della Scuola Austriaca
1. Introduzione: Menger e la Scuola Austriaca
Nell’Europa della seconda metà del XIX secolo, mentre le teorie economiche classiche iniziavano a mostrare i primi segni di crisi, emerse la figura di Carl Menger. Il suo pensiero innovativo avrebbe posto le basi di una delle correnti più influenti della storia del pensiero economico: la Scuola Austriaca.
Questo articolo si concentrerà in particolare sul cosiddetto Methodenstreit, la celebre controversia metodologica che contrappose gli economisti della Scuola Austriaca ai rappresentanti della Scuola Storica tedesca.
Il dibattito verteva sulla natura stessa della scienza economica, divisa tra l’approccio storico-empirico promosso dalla Scuola Storica e quello teorico-deduttivo adottato dagli Austriaci.
Saranno inoltre analizzati i contributi degli economisti della seconda generazione austriaca, il progressivo allontanamento della Scuola Austriaca dal pensiero economico dominante e l’eredità intellettuale che questa corrente ha lasciato nella teoria economica contemporanea.
Sebbene il pensiero economico di Menger abbia fornito le fondamenta teoriche della Scuola Austriaca, esso rappresentò soprattutto l’impulso iniziale di una corrente che nel tempo avrebbe ampliato, e talvolta modificato, le sue idee originarie.
Carl Menger ha offerto numerosi importanti contributi alla scienza economica. Innanzitutto, ha sviluppato l’individualismo metodologico, un approccio che considera le azioni e le scelte dei singoli individui come punto di partenza per comprendere i fenomeni economici più ampi.
In secondo luogo, ha elaborato la teoria del valore soggettivo, superando la visione oggettiva allora dominante e sostenendo che il valore di un bene dipende dall’importanza che ogni individuo gli attribuisce in funzione dei propri bisogni.
Infine, ha dedicato particolare attenzione all’analisi dei bisogni umani, studiando come questi cambino nel tempo e influenzino le decisioni economiche in una prospettiva dinamica. Questi tre elementi costituiscono il nucleo del pensiero mengeriano e rappresentano i pilastri della Scuola Austriaca.
Menger si oppose con decisione alle dottrine essenzialiste allora prevalenti, che tendevano a spiegare i fenomeni economici attraverso categorie astratte e princìpi universali, spesso lontani dalla realtà concreta delle scelte individuali.
Gli Austriaci – Menger in primis – adottano sì un approccio deduttivo, ma fondato su assunzioni relative all’individuo, e non su astrazioni collettive o speculative.
Pur avendo gettato le fondamenta teoriche della Scuola Austriaca, fu grazie ai suoi seguaci che questo approccio raggiunse piena maturazione.
Con un’intensa attività di elaborazione, approfondimento e difesa teorica, essi riuscirono a consolidare la Scuola Austriaca come una tradizione di pensiero autonoma e influente nella storia dell’economia.
2. Il Methodenstreit e i critici di Menger

«La scuola aiuta i giovani se riesce a insegnare loro il senso critico».
Evandro Agazzi
Uno dei momenti decisivi nella storia della Scuola Austriaca fu il Methodenstreit, la disputa metodologica con la Scuola Storica tedesca.
Le idee esposte nei Principi di economia di Carl Menger incontrarono una forte opposizione negli ambienti accademici di lingua tedesca, spingendo l'autore a ribadire con maggiore enfasi l'importanza dell'individualismo metodologico e della teoria del valore soggettivo.
Questi concetti vennero approfonditi nel suo libro del 1883, Untersuchungen zur Methode der Socialwissenschaften.
L’opera diede origine a un acceso dibattito con esponenti di rilievo della Scuola Storica, tra cui Gustav von Schmoller, fautore di un approccio descrittivo e storicista all’analisi economica.
Menger criticò duramente questa impostazione, contestandone il rifiuto dei modelli teorici astratti e la tendenza a concentrarsi quasi esclusivamente sulla raccolta e classificazione dei dati empirici.
Il conflitto non si limitò a questioni metodologiche: si estese anche a elementi ideologici e a dinamiche di potere interne al mondo accademico.
Il Methodenstreit evidenziò le profonde differenze tra la Scuola Austriaca, che cercava di individuare principi economici universali basati sull'azione individuale, e la tradizione storicista tedesca, che dava priorità all'analisi dettagliata del contesto storico e istituzionale dei fenomeni economici.
In una fase iniziale, Menger non percepiva il proprio approccio come inconciliabile con quello della prima generazione della Scuola Storica tedesca – la cosiddetta “Vecchia” Scuola Storica.
L’emergere della seconda generazione di economisti storicisti, nota come “Giovane” Scuola Storica e guidata proprio da Schmoller, rese il confronto più acceso e inevitabile, data la loro radicale opposizione alle teorie astratte.
Paradossalmente, fu proprio questo scontro a contribuire alla definizione della Scuola Austriaca come corrente teorica autonoma all’interno del pensiero economico. Il dibattito ebbe infatti conseguenze durature, influenzando profondamente le successive riflessioni sulla metodologia e sull’ambito di indagine dell’economia.
Per comprendere meglio la divergenza metodologica alla base del Methodenstreit, si può considerare come le due scuole avrebbero analizzato un fenomeno economico semplice, come l’aumento del prezzo del caffè in una città.
Un economista della Scuola Austriaca, seguendo l’approccio di Menger, avrebbe adottato un metodo deduttivo, partendo da principi teorici generali.
Avrebbe spiegato l’aumento del prezzo attraverso la teoria del valore soggettivo e la dinamica tra domanda e offerta: se più consumatori attribuiscono un valore maggiore al caffè (aumento della domanda), oppure se eventi esterni ne riducono la disponibilità (diminuzione dell’offerta), i prezzi tenderanno a salire.
L’analisi si fonderebbe su principi teorici dedotti dalla logica dell’azione umana, considerati validi in virtù della loro coerenza logica, non della verifica empirica.
Al contrario, un economista della Scuola Storica tedesca, come Schmoller, avrebbe rifiutato di partire da teorie astratte, preferendo un approccio induttivo. Avrebbe raccolto un’ampia quantità di dati: statistiche sui prezzi storici del caffè, documenti relativi alle abitudini di consumo locali, informazioni sulle politiche fiscali e commerciali, e sulle relazioni economiche con i paesi produttori.
Solo dopo un’analisi approfondita del contesto storico, sociale e istituzionale, avrebbe formulato delle conclusioni valide per quello specifico caso, senza pretese di generalizzazione.
Questo esempio coglie l’essenza del dibattito: mentre Menger sosteneva che l’economia dovesse fondarsi su principi teorici dedotti logicamente dall’azione individuale, Schmoller riteneva che i fenomeni economici potessero essere compresi soltanto attraverso l’analisi storica concreta delle loro manifestazioni, respingendo l’idea di leggi economiche astratte valide in ogni contesto.
3. Gli Austriaci di seconda generazione: Wieser e Böhm-Bawerk

«With the Austrians, there is never any risk that real-world events will interfere with your ideology».
Josh Barro
Dopo Carl Menger, furono due brillanti allievi a dare un contributo decisivo all’evoluzione del pensiero della Scuola Austriaca: Friedrich von Wieser ed Eugen von Böhm-Bawerk.
Entrambi non si limitarono a trasmettere le idee del maestro, ma le arricchirono con contributi originali che ampliarono in modo significativo l’orizzonte dell’analisi economica austriaca.
Friedrich von Wieser lasciò un’impronta duratura coniando il termine utilità marginale (Grenznutzen), divenuto centrale nel linguaggio economico.
Estendendo l’approccio teorico di Menger, applicò l’analisi marginalista a nuovi ambiti, tra cui la finanza pubblica.
Particolarmente innovativa fu la sua teoria dell’imputazione, che fornì strumenti analitici per determinare il valore economico dei fattori produttivi in base al loro contributo marginale.
L’originalità di Wieser risiedeva nella capacità di integrare l’individualismo metodologico mengeriano in una visione più ampia delle dinamiche sociali. Introdusse il concetto, destinato a diventare centrale nella Scuola Austriaca, di “controlli naturali”: le istituzioni economiche e sociali – pur essendo il frutto dell’azione individuale – finiscono per esercitare un’influenza strutturale sulle scelte degli individui.
Diritti di proprietà, contratti e norme sociali sono, secondo Wieser, meccanismi che incanalano e orientano l’agire economico.
Con questa intuizione, anticipò una prospettiva più articolata dell’analisi economica: per comprendere i fenomeni economici non basta osservare prezzi e mercati, ma occorre considerare l’intero sistema istituzionale attraverso cui le forze di mercato si manifestano e operano.
Questa visione del rapporto tra scelte individuali e strutture sociali avrebbe assunto un ruolo sempre più rilevante nelle generazioni successive di economisti austriaci.
Eugen von Böhm-Bawerk, considerato da molti il più rigoroso tra i primi esponenti della scuola, si concentrò sulla teoria del capitale e dell’interesse. La sua monumentale opera Capitale e Interesse (pubblicata in due volumi, nel 1884 e 1889) si apriva con una dettagliata critica alle teorie esistenti, compresa quella marxiana.
Su queste basi, sviluppò una teoria originale dell’interesse fondata su due concetti chiave: la preferenza temporale (cioè la tendenza degli individui a dare maggiore valore ai beni presenti rispetto a quelli futuri) e la roundaboutness (la maggiore produttività dei processi produttivi più indiretti e di lunga durata).
La sua teoria rappresentò un profondo cambio di paradigma rispetto alle concezioni allora dominanti. Nel tardo XIX secolo, l’interesse veniva spiegato principalmente in due modi: come rendimento naturale del capitale o come ricompensa per l’astinenza dal consumo.
Böhm-Bawerk sosteneva che queste spiegazioni trascurassero un elemento essenziale: la dimensione temporale dell’attività economica.
Secondo lui, la preferenza temporale è un tratto universale: a parità di condizioni, le persone tendono a preferire la soddisfazione immediata rispetto a quella futura.
In termini pratici, un euro oggi vale più di un euro domani. Questa inclinazione non è sintomo di irrazionalità, ma parte integrante del processo decisionale umano.
Il secondo pilastro della teoria riguarda la struttura temporale della produzione: Böhm-Bawerk osservava che i metodi produttivi più indiretti – cioè quelli che richiedono più tempo – tendono a essere più produttivi.
Tuttavia, questi processi richiedono risorse disponibili immediatamente per poter essere avviati.
Per chiarire, immaginiamo un agricoltore davanti a due opzioni:
- Metodo diretto: coltiva subito il terreno con gli attrezzi a disposizione, ottenendo 100 unità di raccolto in un anno.
- Metodo indiretto: impiega sei mesi per costruire un sistema di irrigazione, che gli consentirà di ottenere 150 unità nei sei mesi successivi e negli anni a venire.
Se l’agricoltore sceglie il primo metodo, rinunciando a una resa maggiore, ciò riflette la sua preferenza temporale: attribuisce maggiore valore alla disponibilità immediata del raccolto rispetto a un guadagno futuro.
Ma se un altro individuo dispone di beni sufficienti per sostenerlo durante i sei mesi necessari alla costruzione, potrà prestarglieli in cambio di una parte della produttività futura. Quella parte rappresenta l’interesse.
L’originalità della teoria di Böhm-Bawerk risiedeva nel collegare questi due fenomeni: l’interesse non è semplicemente il frutto della produttività del capitale o della rinuncia al consumo, ma nasce dall’interazione tra la preferenza temporale e la struttura temporale dei processi produttivi.
In un’economia di mercato, il tasso d’interesse è il “prezzo del tempo”, che media tra la propensione al consumo immediato e la possibilità di avviare processi produttivi più lunghi ma più produttivi.
Questa formulazione si distingue nettamente dalle teorie precedenti: l’interesse non è né un’appropriazione indebita né una semplice compensazione per l’astinenza, ma un fenomeno naturale che riflette la logica temporale dell’azione umana.
La concezione di Böhm-Bawerk divenne un tratto distintivo dell’economia austriaca. Le sue implicazioni influenzarono profondamente economisti successivi come Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek, in particolare nelle loro teorie sul ciclo economico e sulla struttura del capitale.
4. La divergenza della Scuola Austriaca rispetto all'economia tradizionale
Nel tempo, l’economia dominante (o mainstream) ha sviluppato un approccio sempre più matematico, fondato sull’uso di modelli statistici complessi e sull’analisi degli equilibri economici, ossia quelle situazioni ideali in cui domanda e offerta risultano perfettamente bilanciate.
Questa divergenza rispetto alla Scuola Austriaca nasce da profonde differenze di metodo, obiettivi e prospettive.
L’economia mainstream tende a costruire modelli astratti, espressi in forma matematica, con l’obiettivo di prevedere il comportamento dei mercati in condizioni teoriche stabili.
Per esempio, un modello potrebbe cercare di stimare con precisione come varierà il prezzo di un bene in seguito a un cambiamento della domanda, ipotizzando che tutti gli altri fattori rimangano invariati.
La Scuola Austriaca, al contrario, ha sempre preferito un approccio qualitativo, basato sul ragionamento logico e sulla deduzione a priori.
Gli economisti austriaci ritenevano che la realtà economica fosse troppo complessa, mutevole e legata al contesto per poter essere rappresentata in modo esaustivo attraverso modelli matematici statici.
A loro avviso, l’economia non poteva essere assimilata alle scienze naturali: era essenziale comprendere le motivazioni individuali, il ruolo delle istituzioni e le interazioni che si sviluppano tra gli attori economici in contesti reali e dinamici.
Questo approccio si distingueva non solo da quello della teoria neoclassica, ma anche dal metodo empirico-induttivo della Scuola Storica tedesca, radicata nel realismo aristotelico.
Mentre gli storicisti si concentravano sulla raccolta e analisi di dati storici, gli Austriaci partivano da principi generali e astratti per interpretare il comportamento economico.
Per chiarire ulteriormente questa differenza, si può considerare l’esempio del mercato del grano. L’economia mainstream e la Scuola Storica potrebbero analizzare l’andamento dei prezzi sulla base di dati statistici, condizioni climatiche o politiche agricole.
La Scuola Austriaca, invece, partirebbe da concetti teorici come la libertà individuale, le aspettative future e la ricerca del miglioramento personale per spiegare le scelte di agricoltori e commercianti.
Un’altra divergenza fondamentale riguarda la natura dell’analisi economica. L’economia mainstream tende a focalizzarsi su situazioni di equilibrio, in cui tutti gli agenti compiono scelte ottimali e non hanno incentivi a modificarle.
La Scuola Austriaca, invece, concentra l’attenzione sui processi dinamici di aggiustamento, sui periodi di disequilibrio e sul modo in cui gli individui reagiscono al cambiamento delle condizioni di mercato.
Un esempio di questa impostazione è nel ruolo attribuito agli imprenditori. Per gli economisti austriaci, l’imprenditore non è semplicemente un gestore di risorse, ma un agente fondamentale del cambiamento: scopre nuove opportunità, introduce innovazioni e contribuisce alla nascita di nuovi mercati, stimolando così lo sviluppo economico.
Proprio per questo, gli Austriaci hanno sempre sottolineato l’importanza della certezza giuridica, della protezione dei diritti di proprietà e del rispetto dei contratti. Senza queste condizioni, sarebbe impossibile per le imprese pianificare investimenti a lungo termine o prendere decisioni razionali in un contesto di mercato.
Queste differenze di fondo – metodologiche, analitiche e istituzionali – hanno condotto la Scuola Austriaca a sviluppare una posizione critica e autonoma rispetto all’economia neoclassica tradizionale.
Con il tempo, essa si è consolidata come una delle principali correnti eterodosse del pensiero economico contemporaneo.
5. L'eredità della Scuola Austriaca
Nonostante la sua distanza dall’economia mainstream, la Scuola Austriaca ha lasciato un’eredità duratura nel pensiero economico contemporaneo.
L’enfasi sull’individualismo metodologico, sulla teoria del valore soggettivo e sull’importanza delle istituzioni continua a influenzare economisti appartenenti a diverse scuole di pensiero.
La critica austriaca all’essenzialismo – l’idea secondo cui i fenomeni economici possiedano una natura intrinseca, fissa e oggettiva, indipendente dal contesto o dalle percezioni individuali – ha contribuito a superare visioni rigide, promuovendo un’evoluzione più flessibile e realistica della teoria economica.
Combinando l’individualismo metodologico con il valore soggettivo, Menger e i suoi seguaci applicarono in modo sistematico il concetto di utilità marginale per spiegare i fenomeni dello scambio e la formazione dei prezzi relativi, fornendo così un contributo essenziale alla comprensione della teoria generale dei prezzi.
L’influenza della Scuola Austriaca è ancora visibile in numerose aree dell’economia teorica e applicata, tra cui:
- Studi sull’imprenditorialità: gli Austriaci hanno chiarito il ruolo centrale dell’imprenditore come scopritore di opportunità, promotore dell’innovazione e motore della crescita economica.
- Teoria del capitale: le riflessioni Austriache sullo sviluppo temporale di beni e investimenti continuano a essere rilevanti nei dibattiti sulla produttività e la crescita di lungo periodo.
- Economia monetaria: la Scuola ha espresso critiche verso l’eccessiva discrezionalità delle banche centrali, promuovendo sistemi monetari alternativi, meno soggetti a interventi politici.
- Diritto ed economia: gli Austriaci hanno sottolineato l’importanza della tutela dei diritti di proprietà e dell’esistenza di un quadro giuridico stabile come condizioni fondamentali per il funzionamento efficiente dei mercati.
In futuri approfondimenti, verranno trattati anche i contributi di figure centrali del Novecento della Scuola Austriaca, tra cui Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek.
Le loro elaborazioni teoriche, pur muovendosi nel solco tracciato da Menger, Wieser e Böhm-Bawerk, hanno affrontato nuove sfide intellettuali, contribuendo in modo decisivo all’evoluzione del pensiero economico e lasciando un’impronta profonda anche nel dibattito internazionale su temi quali il ruolo della conoscenza nei processi di mercato, la funzione del denaro, la pianificazione economica e la teoria del ciclo economico.
La Scuola Austriaca si è sviluppata grazie al contributo di numerosi studiosi e al confronto con visioni teoriche differenti: dal Methodenstreit alla sua progressiva distinzione rispetto all’economia neoclassica, essa ha mantenuto un’identità forte e coerente, caratterizzata da un approccio originale e da intuizioni profonde sul funzionamento concreto dei processi economici.
La collezione di articoli sulla "Storia del pensiero economico" contiene:
1. Il progetto di organizzazione sociale di Platone
2. La critica di Aristotele alla dottrina economica di Platone
6. L'economia classica: Un nuovo approccio all'economia politica
7. L'economia classica: Smith e Ricardo – Il valore della merce
8. L'economia classica: La distribuzione del reddito
9. L'economia classica: Jean-Baptiste Say
10. L'economia classica: Il pensiero di Malthus e Sismondi
11. L'economia classica: Il cammino verso lo stato stazionario e il commercio estero
12. L'economia classica: John Stuart Mill, l'ultimo economista classico
13. Il socialismo utopistico di Charles Fourier
14. Karl Marx: La sua filosofia di pensiero
15. Karl Marx: Una nuova interpretazione del processo di accumulazione del capitale
16. Karl Marx: La teoria del valore
17. Karl Marx: La teoria del plusvalore. Lo sfruttamento capitalistico
18. Karl Marx: La caduta tendenziale del saggio di profitto
19. Karl Marx: Le caratteristiche della società socialista
20. L'economia neoclassica: La rivoluzione marginalista
21. L'economia neoclassica: La Scuola Austriaca di Economia. Origini, sviluppi ed eredità
22. John Maynard Keynes (più articoli)
23. ...