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I costi dei Fondi Comuni d'Investimento

I costi dei Fondi Comuni d'Investimento


18Lug2021

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Andrea Gonzali Fondi, ETF e Indici 9302 hits
Prima pubblicazione: 15 Settembre 2019

«Net return is simply the gross return of your investment portfolio less the costs you incur. Keep your investment expenses low, for the tyranny of compounding costs can devastate the miracle of compounding returns».

John C. Bogle

I Fondi Comuni d'Investimento a gestione attiva devono la loro pessima fama di essere strumenti finanziari troppo costosi alla svariata gamma di commissioni che li caratterizzano.

In linea generale, si possono individuare 3 tipologie di commissioni: TER, Commissioni di sottoscrizione e rimborso, Costi di transazione. Non tutte, per fortuna, gravano sulla totalità dei fondi attivi.

Gli alti costi dei fondi a gestione attiva sono il motivo principale per cui quelli a gestione passiva si sono diffusi in modo rapido, conquistando una grande fetta di mercato.

Ovviamente, non è soltanto un discorso di costi inferiori: gli investitori sarebbero ben felici di pagare commissioni più alte se, in cambio, ottenessero dei rendimenti mediamente superiori a quelli del mercato. Purtroppo non è così: nel lungo termine i fondi a gestione attiva che battono il loro benchmark sono una percentuale irrisoria.

La famosa frase pronunciata da John Bogle nel 2005, "In investing, you get what you don't pay for" (Negli investimenti, ottieni ciò per cui non paghi), è tanto controintuitiva quanto veritiera.

Approfondiremo adesso le principali tipologie di commissioni.

1) TER

Tutti i fondi hanno uno specifico costo detto TER: Total Expense Ratio.

In molti sono consapevoli che il TER dei fondi a gestione attiva sia superiore a quello dei fondi a gestione passiva: fin qui niente di strano. Il problema è l'entità di questo sovra-costo: spesso è di ben 10 volte maggiore, se non di più. Stiamo parlando del 1000% e oltre: una percentuale assurda.

Il TER include:

  • Commissioni di gestione o spese correnti. Le spese correnti comprendono anche le commissioni di collocamento, se previste. Queste ultime sono applicabili soltanto ai fondi a gestione attiva.
  • Commissioni di performance. Sono applicate solo ad alcuni fondi a gestione attiva.
    Attenzione: la presenza di queste commissioni significa che se il gestore otterrà un buon risultato, dovrete pagargli anche una parte del vostro guadagno. In caso di prestazioni pessime invece… niente vi sarà dovuto.

Le commissioni di collocamento meritano una nota a parte. Questo tipo di commissioni sono un astuto modo di rimpiazzare le commissioni di sottoscrizione dei fondi (dette anche commissioni di ingresso, che saranno analizzate in seguito).

Una loro ottima analisi è disponibile nella pubblicazione della Consob Il costo dei fondi comuni in Italia - Evoluzione temporale e confronto internazionale (numero 8, gennaio 2018, p. 17), i cui autori sono G. Finiguerra, G. Frati e R. Grasso.

Riportiamo un breve passaggio di questo contributo che riteniamo utile ai fini della nostra indagine (il grassetto è nostro):

Le commissioni di collocamento consistono in una percentuale dell'ammontare investito che non grava immediatamente sul sottoscrittore, ma viene "anticipata" dal fondo, per conto del sottoscrittore, alla SGR. In tal modo, il fondo iscriverebbe all’attivo un credito nei confronti dei sottoscrittori che viene ripagato gradualmente nel tempo attraverso una riduzione del NAV utilizzando la voce di costo denominata “commissioni di collocamento". Tale meccanismo, ..., determina l’impossibilità di investire integralmente il patrimonio del fondo e quindi comporta un costo opportunità. Se il sottoscrittore decide di richiedere il rimborso delle quote del fondo prima che il fondo abbia interamente soddisfatto il suo credito, la parte rimanente viene addebitata all’investitore sotto forma di commissioni di uscita.

Tale tipo di meccanismo commissionale sarebbe più frequente nei fondi cosiddetti “a scadenza predefinita”, la cui diffusione è notevolmente cresciuta negli anni più recenti e che a fine 2016 rappresentavano oltre il 30% del patrimonio gestito. Tuttavia, i dati disponibili non consentono di verificare l’entità e la diffusione di tale fenomeno, poiché, come prima detto, non vi sono dati di dettaglio sulla voce “commissioni di collocamento” presente nella nota integrativa al rendiconto dei fondi.

Fate molta attenzione alle commissioni di collocamento: se trovate un fondo che le applica, evitatelo.

Il TER è espresso in percentuale del valore del fondo. Un TER del 2% significa che, approssimativamente, state pagando il 2% all'anno di commissioni. Su un investimento di 100.000 euro, 2.000 euro all'anno vi vengono trattenuti in commissioni.

La banca o il consulente non sempre (anzi, raramente) spiegano come viene pagato il TER. Esso viene dedotto ogni giorno dal NAV dei fondi che possedete.

E così, alla fine dell'anno, se il fondo comune o la Sicav sulla quale avete investito:

  • Ha guadagnato il 10%, nessuno vi verrà a dire che, in realtà, il rendimento senza commissioni del fondo comune sarebbe stato del 12% ma, al netto del TER, a voi è rimasto soltanto il 10%.
  • Ha perso il 10%, nessuno vi verrà a dire che, in realtà, il rendimento senza commissioni del fondo comune sarebbe stato del −8% ma, considerando il 2% di TER, avete portato a casa un −10%.

Il 2% all'anno pagato in commissioni potrebbe sembrare accettabile: in fin dei conti, non è che le alternative siano gratis. Tuttavia, tra il 2% e lo 0,2% all'anno di TER, nel lungo termine la differenza in termini di euro pagati in commissioni potrebbe essere esorbitante: se siete interessati ad approfondire questo discorso, potete dare un'occhiata all'articolo L'impatto delle spese correnti.

La MIFID II dovrebbe aver aiutato gli investitori a capire a quanto ammonta la somma sborsata in euro a fronte della percentuale di TER applicata. Purtroppo, in molti casi si cerca di nascondere il più possibile questa informazione.

Il TER, infine, varia in funzione della tipologia dei fondi: è più elevato nei fondi azionari e più basso, rispettivamente, nei fondi bilanciati, flessibili, obbligazionari e monetari.

Non siamo assolutamente contrari alla presenza di commissioni: il lavoro deve essere pagato in modo adeguato. Purtroppo, in certi casi le commissioni raggiungono valori astrusi e ingiustificabili (anche ben oltre il 2% che abbiamo utilizzato nell'esempio precedente).

Naturalmente, più il TER è alto e più sarà improbabile che un fondo riesca a ottenere un'ottima performance nel lungo termine.

2) Commissioni di sottoscrizione e di rimborso

Alcuni fondi prevedono delle commissioni di sottoscrizione e di rimborso.

Le commissioni di sottoscrizione vengono calcolate in percentuale dell'ammontare investito. Il controvalore viene immediatamente decurtato: la banca o il consulente vi dice che pagate l'1% di sottoscrizione? Ok, vuol dire che se avevate intenzione di investire 10.000 euro, 100 euro finiscono fin da subito nelle loro tasche e solo 9.900 euro nel fondo sottoscritto.

Le commissioni di rimborso si applicano al momento della liquidazione delle quote del fondo. Di norma, più tempo avrete mantenuto il possesso delle quote e meno gravose saranno le commissioni di rimborso (oltre un certo numero di anni, di solito si annullano).

Per fortuna, queste due tipologie di commissioni sono applicate sempre meno frequentemente. Tuttavia, non sono affatto sparite e, se andrete in banca chiedendo di investire in un fondo comune, probabilmente ve le faranno pagare (in alcuni casi potrebbero essere rimpiazzate dalle commissioni di collocamento analizzate in precedenza).

Preparatevi a negoziare con la banca o con il consulente finanziario abilitato all'offerta fuori sede (ex promotore finanziario) per farvele togliere. Se non cedono, cambiate banca o consulente.

3) Costi di transazione

Ogni volta che acquistate delle quote di un fondo comune o di un ETF dovete anche pagare i costi di transazione, che vengono percepiti dalla banca che detiene il vostro conto titoli.

Questi costi possono essere fissi – ad esempio 9 euro per ogni acquisto o vendita – o in percentuale del controvalore negoziato, con una soglia minima e (si spera) una massima.

Conclusioni

Tirando le somme, vi sarete resi conto che i fondi comuni di investimento e le Sicav – ovvero i fondi a gestione attiva – sono degli strumenti finanziari costosi.

Quali sono le alternative? Ormai da diversi anni esistono i fondi a gestione passiva: sono quei fondi che replicano esattamente un certo indice o benchmark.

La tipologia principale di fondi a gestione passiva è quella degli ETF (Exchange-Traded Fund). Il loro scopo è quello di replicare il mercato di riferimento, non di batterlo.

Anche sugli ETF, però, gravano alcune commissioni. Nello specifico:

  • TER: la percentuale applicata agli ETF è di gran lunga più bassa di quella dei fondi a gestione attiva.
  • Costi di transazione: sono in linea di principio simili a quelle dei fondi a gestione attiva. Tuttavia, dal momento che gli ETF vengono trattati come le azioni nella fase di Borsa che prende il nome di negoziazione continua, i loro costi di transazione sono leggermente più bassi.

In conclusione, fate molta attenzione al TER dei fondi e, in quelli a gestione attiva, all'eventuale presenza di commissioni di sottoscrizione o di rimborso.

I fondi a gestione attiva e quelli a gestione passiva sono due tipologie di strumenti finanziari simili, ma con diverse peculiarità. In certi casi, possono essere mixati in modo opportuno in un portafoglio finanziario.

Gli ETF sono però obiettivamente più economici ed efficienti. Inoltre, comportano anche un rischio in meno, il rischio gestore, tipico dei fondi a gestione attiva e costituito da due componenti:

  • In senso stretto, il rischio gestore si concretizza quando il fondo attivo è costituito da molti degli strumenti finanziari contenuti nel benchmark e il gestore effettua poche operazioni. In questo caso, l'investitore rischia di pagare un'alta commissione di gestione per un fondo attivo che assomiglia molto a uno passivo ma che, a causa dei maggiori costi, otterrà un rendimento inferiore.
  • In senso più ampio, il rischio gestore si concretizza quando il fondo attivo è costituito da molti strumenti finanziari che non sono presenti nel benchmark e/o il gestore effettua molte operazioni. In questo caso, la gestione è senz'altro attiva, ma non è detto che sia una gestione di successo: l'investitore rischia di pagare un'alta commissione di gestione per un fondo attivo che, purtroppo, otterrà un rendimento inferiore a quello del benchmark.

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