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Karl Marx: Una nuova interpretazione del processo di accumulazione del capitale


05Ago2024

Information
Andrea Gonzali Storia del pensiero economico 440 hits
Prima pubblicazione: 01 Luglio 2024

«'Il prezzo' di ogni cosa è l’ammontare di vita che siamo disposti a scambiare per essa».

Henry David Thoreau

Prendendo spunto dalla distinzione tra le due forme di "crematistica" stabilita da Aristotele, Marx, all'inizio del Libro I del Capitale, contrappone la logica della produzione capitalistica con quella precapitalista della "produzione di merce semplice", caratteristica delle economie artigianali o agricole-artigianali.

Aristotele aveva identificato due tipi di crematistica: una naturale, orientata alla soddisfazione dei bisogni familiari attraverso il commercio e lo scambio di beni utili, e una innaturale, caratterizzata dall'accumulazione di ricchezza per sé stessa. Nella crematistica innaturale, il valore dei beni veniva giudicato in base al valore di scambio, invece che alla loro utilità.

Marx riprende questa distinzione per illustrare come la logica del capitalismo si discosti profondamente dalla produzione di merce semplice.

Nella semplice produzione di mercato, la logica del produttore può essere riassunta nella formula "vendere per comprare" (M-D-M). In questo schema "Merce-Denaro-Merce" – che corrisponde alla prima forma di crematistica di Aristotele – il punto di partenza e il punto di arrivo differiscono nel loro valore d'uso, ma hanno normalmente lo stesso valore di scambio.

Ciò significa che il produttore vende una merce non per accumulare denaro, ma per ottenere altre merci di cui ha bisogno, e il denaro svolge un ruolo meramente intermedio, facilitando lo scambio.

La logica del capitalista, invece, è fondamentalmente diversa. Marx la riassume nella formula "comprare per vendere" (D-M-D'): il capitalista si presenta come un individuo con una certa somma di denaro (D), che investe in una determinata attività, acquistando merci (M) – sia mezzi di produzione che forza lavoro – con l'obiettivo di recuperare successivamente tale somma maggiorata di un certo profitto (D').

Questa logica implica che il denaro non è più un semplice mezzo di scambio, ma diventa il fine ultimo dell'attività economica. Tale profitto, indispensabile per l'inizio di un nuovo ciclo produttivo, non è però garantito.

Marx osserva che la conversione di merci in denaro, che egli chiama realizzazione di valore, può incontrare difficoltà a causa della natura "anarchica" della produzione capitalistica, dove la mancanza di coordinamento può portare a crisi di sovrapproduzione o sottoconsumo.

Marx si chiede poi da dove provenga questo guadagno monetario, normalmente realizzato alla fine di ogni ciclo di rotazione del capitale.

Egli spiega che esso non può provenire dalla "sfera di circolazione", cioè dallo scambio. Infatti, i mezzi di produzione e i prodotti che essi consentono di fabbricare vengono normalmente scambiati con quantità di denaro aventi lo stesso valore.

Lo scambio di per sé non genera valore aggiunto, poiché ogni scambio avviene alla pari. Pertanto, è nella "sfera della produzione" che bisogna cercare l'origine del guadagno del capitalista.

La teoria del valore e dello sfruttamento del lavoro fornisce la spiegazione del fenomeno: la parte di capitale destinata all'acquisto di forza lavoro (capitale variabile) permette, attraverso lo sfruttamento dei salariati, di generare valore aggiunto, la cui traduzione monetaria è il profitto.

La forza lavoro ha la peculiarità di poter creare più valore di quanto ne costi il suo mantenimento, e questa differenza è il plusvalore, che rappresenta il vero motore del profitto capitalistico.

Il plusvalore viene inizialmente utilizzato per il consumo personale del capitalista, permettendogli di mantenere uno stile di vita agiato. Ma, come sottolinea Marx, l'essenziale è altrove: la maggior parte del plusvalore viene reinvestita e si trasforma in capitale addizionale.

Il processo di reinvestimento consente non solo la riproduzione del capitale iniziale, ma anche la sua accumulazione, fenomeno che Marx descrive come riproduzione allargata del capitale.

Il continuo reinvestimento del plusvalore è ciò che permette al capitale di crescere e al sistema capitalistico di espandersi.

Per Marx, l'accumulazione del capitale è fondamentale per la sopravvivenza dei capitalisti. Nel contesto della competizione che caratterizza il capitalismo, l'innovazione appare come una necessità vitale.

L'innovazione, infatti, presuppone l'introduzione di mezzi di produzione sempre più costosi e avanzati, nonché spese in costante aumento, note al giorno d'oggi come "ricerca e sviluppo". Questo implica che i profitti vengano in gran parte trasformati in capitale addizionale.

Il capitalista che non reinveste una parte significativa del suo profitto rischia di essere superato dai concorrenti che investono maggiormente in tecnologie e metodi produttivi più efficienti.

La crescita economica, effetto diretto dell'accumulazione del capitale, è insita nel sistema capitalistico. Marx, a differenza degli economisti classici David Ricardo o John Stuart Mill, non prevede mai che questo sistema possa stabilirsi in uno "stato stazionario".

Egli ritiene che lo sviluppo della grande industria sia accompagnato da una dequalificazione della manodopera operaia, ridotta a un semplice accessorio della macchina.

Questo processo va di pari passo con un deterioramento delle condizioni di lavoro, poiché la dequalificazione consente di attrarre categorie di lavoro più ampie e vulnerabili. Il lavoro diventa sempre più frammentato e meccanizzato, riducendo le competenze richieste e aumentando la facilità con cui i lavoratori possono essere sostituiti.

La "sovrappopolazione relativa" si riferisce al fatto che l'occupazione, ostacolata dalla meccanizzazione della produzione, tende a crescere meno rapidamente della popolazione attiva, creando disoccupazione.

Marx vede questa disoccupazione come una tendenza permanente e strutturale del sistema capitalista, non un fenomeno temporaneo.

Da qui nasce il concetto di "esercito industriale di riserva", che dovrebbe mantenere i salari vicini al valore della forza lavoro. Questo esercito di riserva rappresenta una forza lavoro disponibile che può essere impiegata quando l'economia è in espansione e licenziata durante le recessioni, contribuendo a mantenere i salari bassi e a disciplinare la forza lavoro occupata.

Questa tesi è di grande importanza per Marx, che la definisce "la legge generale dell'accumulazione capitalistica".

La competizione, che i liberisti elogiano come motore di efficienza e progresso, è in realtà un sistema altamente instabile, poiché la dinamica stessa di questa competizione produce concentrazione, con il rischio di creare monopoli e oligopoli.

La competizione incessante costringe i capitalisti a innovare e a reinvestire costantemente, ma ciò porta anche a una crescente centralizzazione del capitale. Questa centralizzazione può infine portare all'intervento dello Stato per regolamentare l'economia.

Sebbene i rapporti di produzione si basino sulla libera concorrenza e sull'iniziativa privata, lo sviluppo delle forze produttive crea una situazione che nega questi principi e prepara l'espropriazione della classe capitalista da parte del proletariato.

Secondo Marx, questa è la “tendenza storica dell'accumulazione capitalista”. L'accumulazione del capitale non solo porta a una maggiore concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, ma crea anche le condizioni per la sua eventuale abolizione.

Marx prevede che la crescente tensione tra le forze produttive e i rapporti di produzione capitalisti porterà a una crisi rivoluzionaria, in cui il proletariato esproprierà i capitalisti e instaurerà una nuova forma di organizzazione economica basata sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione.

Il modo di produzione capitalistico tende a soppiantare le altre forme di organizzazione economica con cui entra in contatto. Questo processo è facilitato dall’internazionalizzazione dei processi economici, quello che noi oggi chiamiamo globalizzazione e che Marx ed Engels avevano già osservato nel XIX secolo.

"Intrecciando ogni giorno di più i processi economici su scala internazionale, la borghesia dà loro un carattere 'cosmopolita'", scrivono Marx ed Engels nel Manifesto del Partito Comunista, "che, con disperazione dei reazionari, ha rimosso la base nazionale dell'industria".

La borghesia, nel suo incessante sforzo di espandere i mercati e di trovare nuove fonti di profitto, crea un sistema economico globale che travolge le vecchie barriere nazionali e culturali.

Questo concetto dà significato all'appello finale del Manifesto del Partito Comunista: "Proletari di tutti i Paesi, unitevi!".


La collezione di articoli sulla "Storia del pensiero economico" contiene:

1. Il progetto di organizzazione sociale di Platone

2. La critica di Aristotele alla dottrina economica di Platone

3. Tommaso d'Aquino

4. Il mercantilismo

5. I fisiocratici

6. L'economia classica: Un nuovo approccio all'economia politica

7. L'economia classica: Smith e Ricardo – Il valore della merce

8. L'economia classica: La distribuzione del reddito

9. L'economia classica: Jean-Baptiste Say

10. L'economia classica: Il pensiero di Malthus e Sismondi

11. L'economia classica: Il cammino verso lo stato stazionario e il commercio estero

12. L'economia classica: John Stuart Mill, l'ultimo economista classico

13. Il socialismo utopistico di Charles Fourier

14. Karl Marx: La sua filosofia di pensiero

15. Karl Marx: Una nuova interpretazione del processo di accumulazione del capitale

16. Karl Marx: La teoria del valore

17. L'economia politica neoclassica

18. John Maynard Keynes

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