Karl Marx: le caratteristiche della società socialista e il bilancio storico di Galbraith
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- Prima pubblicazione: 04 Gennaio 2025
«Se non ci fossero i socialisti, il socialismo governerebbe il mondo intero».
George Bernard Shaw
Il pensiero di Karl Marx rappresenta uno dei più ambiziosi tentativi di comprendere e trasformare la società capitalistica.
La sua opera non si limita a una critica dell'esistente, ma accenna anche un percorso di trasformazione sociale che, attraverso varie fasi, avrebbe dovuto condurre a una società più equa e umana.
Come spesso accade con le grandi teorie, tuttavia, quando queste vengono messe alla prova dei fatti emergono molti dei loro punti deboli.
In questo articolo esamineremo due aspetti del pensiero marxiano: da un lato, la sua concezione della società socialista e della transizione al comunismo; dall'altro, sulla scia dell'analisi di John Kenneth Galbraith, le principali critiche all'economia classica e alcuni dei motivi per cui le previsioni di Marx non si sono realizzate.
Questo duplice sguardo ci permetterà di apprezzare sia la profondità dell'analisi marxiana, sia i limiti che la storia ha evidenziato nel suo progetto di trasformazione sociale.
Indice
- Le caratteristiche della società socialista
- Le principali critiche all'economia classica e i limiti del pensiero marxista
1. Le caratteristiche della società socialista
«Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio».
Indro Montanelli
Il pensiero di Marx sulla trasformazione della società si basa sul materialismo storico-dialettico, che prevede un'evoluzione attraverso tre fasi fondamentali: prima una società di transizione, poi quella socialista e infine l'approdo alla società comunista.
Tale percorso implica la fine dell’era capitalistica, dominata da una classe borghese proprietaria dei mezzi di produzione, e l’avvento di un nuovo ordine sociale e politico, inizialmente guidato dalla classe proletaria e orientato verso la libertà, l’uguaglianza e lo sviluppo integrale dell’uomo.
1. La società di transizione: dalla fine del capitalismo alla nascita del socialismo
Il primo passaggio individuato da Marx è l’istituzione di una società di transizione. Tale fase si apre con la presa del potere politico da parte dei lavoratori, la quale segna la fine dell’epoca capitalistica.
Quest’ultima, basata sul rapporto di produzione capitalistico e sulla generazione di plusvalore a scapito della forza lavoro, si regge su uno Stato che non è realmente neutrale, ma funge da apparato di repressione a difesa degli interessi della classe dominante.
Nella società di transizione, invece, la classe proletaria conquista gli strumenti politici necessari per smantellare l’architettura repressiva del vecchio ordine. L’obiettivo è istituire uno Stato aperto, basato su due importanti principi:
- Internazionalismo. La trasformazione socialista non può rimanere isolata, ma deve estendersi a livello internazionale. Solo un’azione corale dei lavoratori dei diversi Paesi sviluppati, secondo Marx, può evitare di ricadere nelle vecchie dinamiche di sfruttamento.
- Democrazia politica. Anche se all’inizio si tratta ancora di uno “Stato di classe” – la dittatura del proletariato – la direzione politica deve essere improntata a una democrazia autentica, da realizzare secondo quattro linee guida:
- Ispirazione alla Comune di Parigi: i consigli dei lavoratori, eletti e revocabili, costituiscono l’organo decisionale centrale. I delegati, percependo salari non superiori a quelli degli altri lavoratori, evitano la formazione di nuove élite.
- Pluralismo politico: a differenza di quanto avverrà in seguito in certi esperimenti storici, Marx non concepisce la soppressione dei partiti di opposizione. Il multipartitismo è essenziale per garantire un confronto democratico reale.
- Libertà di espressione e associazione: il diritto di sciopero, così come la libertà di stampa, di associazione e di iniziativa economica, deve essere garantito a tutti. Ciò significa non solo dichiarare formalmente queste libertà, ma fornire concretamente a chiunque gli strumenti necessari per esercitarle.
- Superamento graduale del modello capitalistico di organizzazione del lavoro: pur mantenendo, in una fase iniziale, alcune forme dell’organizzazione produttiva ereditate dal capitalismo, lo scopo è sviluppare nuove forme di lavoro che incrementino la produttività e riducano la brutalità delle condizioni lavorative.
In questa fase di transizione, i mezzi di produzione sono già sottratti alla logica del mercato: non vengono più comprati e venduti, ma ridistribuiti dallo Stato.
La forza lavoro non è più una merce, ponendo così fine allo sfruttamento capitalistico. Nonostante questo, non si è ancora giunti alla piena realizzazione del socialismo per due motivi:
- Sviluppo insufficiente delle forze produttive. Non esiste ancora un’abbondanza tale da eliminare il bisogno di scambiare beni di consumo sul mercato.
- Mancanza di un potere politico effettivamente collettivo. Non tutti sono ancora in grado di partecipare pienamente al governo. È necessario investire nell’istruzione e nella formazione, affinché ciascun individuo possa governare ad ogni livello della società.
Il risultato è dunque un sistema ibrido, dove non vige più il rapporto di produzione capitalistico, ma non si è ancora instaurato completamente quello socialista.
2. L'istituzione della società socialista
La società socialista sorge quando la crescita quantitativa e qualitativa delle forze produttive rende superflua la circolazione delle merci come nel sistema capitalistico.
I beni non vengono più venduti, poiché l’abbondanza consentita dallo sviluppo tecnologico e organizzativo li rende accessibili a tutti, senza la necessità del denaro.
L’organizzazione del lavoro perde il suo carattere brutale ed è improntata alla collaborazione, alla creatività e alla realizzazione umana.
Parallelamente, tutti i cittadini possono governare e partecipare attivamente ai processi decisionali. Con la fine delle classi sociali scompare anche la necessità di una dittatura del proletariato, poiché non esiste più una classe da opporre ad un’altra.
Sebbene il criterio della distribuzione rimanga “a ciascuno secondo il suo lavoro”, ci si avvia verso una comunità in cui i bisogni di tutti vengono soddisfatti.
Resta però la fondamentale questione dell’internazionalismo: per Marx, il socialismo non può realizzarsi compiutamente in un solo Paese, ma richiede una trasformazione corale e globale.
Le barriere nazionali, ereditate dal passato, devono essere superate per evitare disparità e contraddizioni nell’evoluzione del sistema.
3. L'approdo finale: la società comunista
La società comunista, stadio ultimo del pensiero di Marx, incarna lo sviluppo pieno dell’idea socialista. Qui la regola di distribuzione diventa “a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
Il lavoro stesso cessa di essere un mero strumento di produzione di ricchezza materiale e lascia spazio a un uso libero del tempo per lo sviluppo integrale dell’essere umano.
L’obiettivo di Marx è il progresso dell’uomo nella sua totalità: un individuo non più costretto dalla necessità economica, ma libero di coltivare la propria personalità e le proprie passioni.
In questo scenario, la società non è più strutturata attorno a rapporti di dominio e a calcoli economici basati sul profitto.
L’economia diventa un mezzo per la realizzazione dell’essere umano, e il progresso tecnologico e culturale è finalizzato al miglioramento della vita collettiva.
Questa progressione in tre stadi riflette la visione marxiana di un processo di emancipazione umana che, partendo dalla critica del capitalismo, conduce a una società "nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti", superando così la contraddizione tra interesse individuale e collettivo tipica della società capitalistica.
2. Le principali critiche all'economia classica e i limiti del pensiero marxista
«Under capitalism, man exploits man. Under communism, it's just the opposite».
John Kenneth Galbraith
Volgiamo adesso la nostra attenzione alle riflessioni critiche elaborate da studiosi successivi e, in particolare, a quelle sviluppate da John Kenneth Galbraith.
Queste considerazioni non si limitano a riconoscere i punti deboli del capitalismo evidenziati da Marx, ma mostrano anche come l’evoluzione storica del sistema capitalistico e delle politiche sociali nei Paesi industrializzati abbia ridimensionato, almeno in parte, il potenziale rivoluzionario pronosticato dal filosofo tedesco.
Secondo Galbraith, la critica marxiana aveva colto alcuni elementi vulnerabili del capitalismo, non ben affrontati dagli economisti classici:
- La distribuzione del potere. Marx denunciava come il potere economico e politico fosse concentrato in poche mani, un aspetto perlopiù ignorato dai classici.
- Le disuguaglianze nella distribuzione del reddito. Pur riconosciute dalla teoria classica, queste disparità non trovavano una giustificazione convincente, mentre per Marx costituivano il fulcro dell’ingiustizia sociale.
- La fragilità del sistema di fronte alle crisi e alla disoccupazione. La tradizione classica credeva nell’autoregolazione del mercato, incapace di concepire appieno la possibilità di una depressione duratura.
- La tendenza al monopolio. I classici la consideravano un’anomalia, mentre Marx la vedeva come una conseguenza strutturale del capitalismo, destinata a influire sul destino del sistema stesso.
Galbraith osserva che il pensiero marxista si è rivelato inadeguato non tanto sul piano teorico, quanto nell'interpretare la reale evoluzione del capitalismo occidentale.
L’introduzione di riforme sociali, l’intervento dello Stato in campo economico, lo sviluppo dei sindacati e le politiche per il pieno impiego hanno progressivamente attenuato i conflitti insanabili ipotizzati da Marx.
Le misure riformiste, come l’istruzione gratuita, la protezione del lavoro, la politica fiscale progressiva, i sussidi ai disoccupati o agli anziani, e le leggi contro il lavoro minorile, hanno ridotto quella miseria che avrebbe dovuto alimentare la spinta rivoluzionaria.
In altre parole, i paesi più sviluppati si sono dotati di strumenti tali da rendere meno urgente o meno plausibile la rivoluzione socialista.
Da un lato, dunque, il capitalismo non è rimasto immobile: ha incorporato elementi di welfare, assicurato maggiori diritti ai lavoratori, accolto riforme che, paradossalmente, talvolta furono tacciate di “marxismo” dai loro detrattori.
Dall’altro, i sindacati hanno potuto migliorare i salari e le condizioni di lavoro, limitando l’impoverimento progressivo previsto da Marx.
E mentre l’intervento keynesiano ha contrastato le crisi, un nuovo assetto organizzativo, basato sulla grande impresa e sulla figura del tecnocrate, ha sostituito il vecchio capitalista “puro e duro”.
Queste trasformazioni hanno eroso le basi strutturali della rivoluzione proletaria in gran parte del mondo industrializzato.
Marx non aveva considerato appieno la possibilità che il capitalismo potesse adattarsi, né che l’evoluzione tecnologica, organizzativa e sociale potesse allentare le tensioni interne al sistema.
Di conseguenza, molti dei paesi in cui le idee marxiste attecchirono non erano grandi economie industrializzate, bensì società caratterizzate da residui feudali, contesti di guerra o profonde arretratezze agricole.
Ad esempio, in Unione Sovietica, in Cina o in altre aree a scarsa industrializzazione, fu la condizione dei contadini e dei braccianti, più che quella dell’operaio urbano, a incendiare la rivolta contro la proprietà terriera e non contro un capitalismo compiutamente sviluppato.
Galbraith sottolinea, infine, come la previsione marxista sullo Stato destinato a dissolversi nel socialismo non abbia trovato conferma. Le economie socialiste sviluppatesi nel XX secolo non solo non hanno ridotto l’apparato statale, ma anzi lo hanno reso ancora più poderoso.
Ciò ha condotto a problemi burocratici e produttivi che hanno limitato la realizzazione del potenziale immaginato da Marx.
Inoltre, l’immensa capacità produttiva del capitalismo – vista da Marx come un passaggio intermedio verso una società dell’abbondanza – si è rivelata, in alcuni casi, un fattore che ha nascosto la miseria e attenuato la spinta rivoluzionaria, offrendo un flusso costante di beni di consumo alle masse.
Questo non significa che la presenza di Marx nel dibattito contemporaneo sia irrilevante. Al contrario, Galbraith invita a non sottovalutare la rilevanza storica e intellettuale di Marx, la cui critica rimane fondamentale per comprendere le tensioni latenti e i problemi strutturali del capitalismo odierno.
Dal problema delle disuguaglianze economiche all’analisi del potere delle élite finanziarie, molte questioni affrontate nel dibattito pubblico attuale, trovano in Marx un riferimento teorico di grande portata.
In conclusione, l’osservazione di Galbraith non si limita a segnalare il fallimento storico del pensiero marxista in Occidente: essa indica piuttosto come il capitalismo, attraverso riforme, compromessi e nuove strategie organizzative, sia riuscito a mitigare le contraddizioni segnalate da Marx, senza tuttavia risolverle in via definitiva.
Questo percorso dialettico tra critica marxiana, trasformazioni del capitalismo e risposta dello Stato sociale sarà essenziale da tener presente prima di addentrarci nella rivoluzione neoclassica, un nuovo paradigma che svilupperà strumenti teorici profondamente diversi per analizzare il funzionamento del sistema economico.
La collezione di articoli sulla "Storia del pensiero economico" contiene:
1. Il progetto di organizzazione sociale di Platone
2. La critica di Aristotele alla dottrina economica di Platone
6. L'economia classica: Un nuovo approccio all'economia politica
7. L'economia classica: Smith e Ricardo – Il valore della merce
8. L'economia classica: La distribuzione del reddito
9. L'economia classica: Jean-Baptiste Say
10. L'economia classica: Il pensiero di Malthus e Sismondi
11. L'economia classica: Il cammino verso lo stato stazionario e il commercio estero
12. L'economia classica: John Stuart Mill, l'ultimo economista classico
13. Il socialismo utopistico di Charles Fourier
14. Karl Marx: La sua filosofia di pensiero
15. Karl Marx: Una nuova interpretazione del processo di accumulazione del capitale
16. Karl Marx: La teoria del valore
17. Karl Marx: La teoria del plusvalore. Lo sfruttamento capitalistico
18. Karl Marx: La caduta tendenziale del saggio di profitto
19. Karl Marx: Le caratteristiche della società socialista
20. L'economia politica neoclassica (più articoli)
21. John Maynard Keynes (più articoli)
22. ...