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Karl Marx: la teoria del valore


05Ago2024

Information
Andrea Gonzali Storia del pensiero economico 262 hits
Prima pubblicazione: 30 Luglio 2024

«Iddio ci vende tutti li beni per prezzo di fatica».

Leonardo da Vinci

Nel 1847, Karl Marx abbracciò la teoria del valore-lavoro, allineandosi con le idee di David Ricardo. Marx, però, reinterpretò questo concetto in modo radicalmente nuovo, conferendogli un significato profondamente diverso.

Per comprendere appieno la teoria marxiana, è essenziale partire dal concetto di “sostanza del valore”. Ispirandosi al pensiero di Aristotele, Marx si pose una domanda fondamentale: come è possibile che due merci qualitativamente diverse possano essere scambiate sul mercato secondo un rapporto quantitativo preciso?

Secondo lui, la risposta risiedeva nell'esistenza di un elemento comune che permettesse di confrontarle.

Marx identificò questa “sostanza” comune nel lavoro necessario per produrre le merci. Questa intuizione lo condusse a una prima, cruciale conclusione: il lavoro costituisce la vera essenza del valore.

Questa affermazione sollevava un’obiezione immediata: come conciliare l’evidente eterogeneità del lavoro con questa teoria?

Per risolvere questo dilemma, Marx introdusse il concetto di doppio carattere del lavoro:

  1. Il lavoro concreto: si riferisce all’attività produttiva specifica, determinata dalle caratteristiche particolari di ciò che viene prodotto. È il lavoro “utile” che crea valori d’uso.
  2. Il lavoro astratto: rappresenta il dispendio generale di energia umana, indipendentemente dalla forma concreta in cui si manifesta.

È il lavoro astratto – e non quello concreto – che Marx identifica come vera sostanza del valore.

Il valore di scambio di una merce dipende dal tempo di lavoro necessario per produrla: un concetto che riprende da Ricardo. Questo tempo di lavoro comprende sia il lavoro diretto, impiegato nella produzione immediata della merce, sia il lavoro indiretto, incorporato nei mezzi di produzione utilizzati durante la fabbricazione.

A livello aggregato, il tempo di lavoro che determina il valore di una merce è definito da Marx come “tempo di lavoro socialmente necessario”. Esso rappresenta la media delle ore di lavoro richieste per produrre un determinato bene, considerando le tecnologie e i metodi produttivi più comuni e diffusi in un dato periodo storico.

Per illustrare questo concetto, consideriamo tre aziende (A, B e C) che producono lo stesso bene con tecnologie diverse:

  • L’azienda A utilizza tecnologie avanzate e moderne.
  • L’azienda B impiega tecnologie nella media del settore.
  • L’azienda C opera con tecnologie obsolete.

La produttività del lavoro sarà diversa da un'azienda all'altra. L'azienda A, grazie alla sua tecnologia avanzata, riuscirà a produrre una maggiore quantità di beni nello stesso lasso di tempo, portando così a un costo unitario inferiore per ciascun prodotto.

Nonostante queste differenze, sul mercato il prezzo tenderà ad uniformarsi per tutti i prodotti dello stesso tipo, riflettendo così un valore sociale medio.

Marx introdusse anche una distinzione del lavoro socialmente necessario in due categorie: lavoro “semplice” (non qualificato) e lavoro “complesso” (qualificato). Egli sosteneva che, in termini di valore creato, una determinata quantità di lavoro complesso equivale a una quantità maggiore di lavoro semplice.

In pratica, per ogni tipo di lavoro qualificato, è possibile calcolare un coefficiente che lo riduce a lavoro semplice.

Nel mercato, i valori non sono espressi in termini di tempo di lavoro, ma in denaro. Per spiegare questo fenomeno, Marx analizza le “forme del valore”.

Il valore di una merce può essere espresso solo in forma relativa, cioè in termini di un’altra merce che funge da equivalente. Per esempio, si può dire che “20 metri di stoffa valgono un abito”.

In questo caso, l’abito diventa la “forma equivalente” della stoffa. Questo porta a una serie di equivalenze che Marx chiama “forma di valore totale o sviluppata”.

Nella “forma di valore totale”, una merce specifica viene utilizzata per esprimere il valore di tutte le altre, diventando l’”equivalente generale”.

Teoricamente, qualsiasi merce potrebbe assumere questo ruolo ma, in pratica, quando una merce particolare (come l’oro, utilizzato spesso nella storia con questa finalità) viene utilizzata esclusivamente come equivalente generale, diventa denaro.

Quindi, si passa dalla “forma generale” del valore alla “forma denaro” – il prezzo monetario – che è la manifestazione concreta del valore sul mercato.

Ritorniamo ora al concetto fondamentale dal quale siamo partiti: il lavoro come vera essenza del valore. Da questa premessa, Marx svilupperà la sua celebre teoria del plusvalore, che esamineremo in dettaglio nel prossimo articolo, ma di cui possiamo già delineare i tratti principali.

Nella teoria economica classica, il salario di un lavoratore è determinato dal suo contributo marginale alla produzione dell’impresa. In pratica, l'ultimo lavoratore assunto riceve un compenso equivalente al valore aggiunto che genera.

A causa della legge dei rendimenti decrescenti, però, man mano che si assumono più lavoratori il contributo di ciascuno tende a diminuire.

Il punto centrale di questa teoria è che il salario marginale diventa il parametro di riferimento per tutti i lavoratori, a prescindere dalla loro produttività individuale. Ciò genera una situazione apparentemente paradossale: molti lavoratori, soprattutto quelli più efficienti o esperti, producono un valore nettamente superiore al salario percepito.

Questi lavoratori più produttivi si collocano nella parte più redditizia della curva dei rendimenti decrescenti, generando quello che Marx definisce "plusvalore". Il plusvalore, anziché essere distribuito ai lavoratori che lo hanno effettivamente creato, viene incassato dal capitalista, ovvero il proprietario dell'impresa.

Il grafico seguente aiuta a capire questo concetto:

L’area evidenziata in azzurro rappresenta il plusvalore creato dai lavoratori che contribuiscono più del salario ricevuto.

Anche se tutti i lavoratori percepiscono il salario di equilibrio (la linea rossa orizzontale), alcuni producono un valore superiore, indicato dalla distanza tra la curva della domanda di lavoro (blu) e la linea del salario di equilibrio (rossa tratteggiata). Questo è il plusvalore percepito dai capitalisti.

Marx sostiene che questa appropriazione del plusvalore da parte del capitalista sia profondamente ingiusta: rappresenta una forma di sfruttamento economico.

La teoria del valore-lavoro di Marx, con la sua analisi approfondita delle forme di valore e del concetto di lavoro astratto, ha esercitato un’influenza significativa non solo sull’economia politica, ma anche sulla filosofia e sulla sociologia.

Nonostante sia stata formulata oltre 150 anni fa e presenti inesattezze che verranno evidenziate da diversi economisti nei decenni successivi, essa continua a stimolare dibattiti e riflessioni.

La sua rilevanza emerge con particolare forza nell’attuale panorama lavorativo, caratterizzato da una crescente specializzazione e automazione.

L’avvento dell’intelligenza artificiale, che si sta diffondendo in ogni settore, pone nuove sfide e mette in discussione l’esistenza stessa di molte professioni.

Pur con i suoi limiti, la teoria del valore-lavoro di Marx ci spinge a riflettere non solo sul lato economico del nostro lavoro, ma anche a riconsiderarne il ruolo e il significato più profondo in un’epoca di trasformazioni tecnologiche senza precedenti.


La collezione di articoli sulla "Storia del pensiero economico" contiene:

1. Il progetto di organizzazione sociale di Platone

2. La critica di Aristotele alla dottrina economica di Platone

3. Tommaso d'Aquino

4. Il mercantilismo

5. I fisiocratici

6. L'economia classica: Un nuovo approccio all'economia politica

7. L'economia classica: Smith e Ricardo – Il valore della merce

8. L'economia classica: La distribuzione del reddito

9. L'economia classica: Jean-Baptiste Say

10. L'economia classica: Il pensiero di Malthus e Sismondi

11. L'economia classica: Il cammino verso lo stato stazionario e il commercio estero

12. L'economia classica: John Stuart Mill, l'ultimo economista classico

13. Il socialismo utopistico di Charles Fourier

14. Karl Marx: La sua filosofia di pensiero

15. Karl Marx: Una nuova interpretazione del processo di accumulazione del capitale

16. Karl Marx: La teoria del valore

17. L'economia politica neoclassica

18. John Maynard Keynes

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