Oltre la rivoluzione marginalista: come Clark, Wicksteed, Wicksell, Edgeworth e Fisher hanno plasmato l’economia moderna
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- Storia del pensiero economico 140 hits
- Prima pubblicazione: 21 Aprile 2025
«When you can measure what you are speaking about and express it in numbers, you know something about it».
Lord Kelvin
La rivoluzione marginalista della fine dell’Ottocento, fondata sul concetto di valore soggettivo e sull’utilità marginale, pose le basi per una nuova visione dell’economia, centrata sul comportamento individuale e sulla razionalità delle scelte.
La generazione successiva di economisti consolidò e ampliò queste idee, applicandole a questioni di centrale importanza come la distribuzione del reddito, la moneta, lo scambio e il tasso d'interesse.
Diversi studiosi svilupparono analisi più sistematiche e rigorose del funzionamento dei mercati, partendo dai principi del marginalismo e approfondendone le implicazioni teoriche.
In questo articolo, esamineremo i contributi di cinque protagonisti di questa evoluzione:
- John Bates Clark e Philip Henry Wicksteed, che analizzarono la remunerazione dei fattori produttivi sulla base della loro produttività marginale.
- Knut Wicksell, che integrò l’analisi monetaria con quella reale, concentrandosi sugli effetti del disallineamento tra tasso d’interesse naturale e di mercato.
- Francis Ysidro Edgeworth, che fornì una base matematica alla teoria dello scambio e dell’efficienza.
- Irving Fisher, che elaborò una teoria strutturata del capitale e dell’interesse, con importanti riflessioni sul ruolo della moneta.
Indice
- La distribuzione basata sulla produttività marginale: John Bates Clark e Philip Wicksteed
- Moneta, interesse e cicli economici: la prospettiva di Knut Wicksell
- Utilità, scambio ed efficienza: il rigore matematico di Francis Y. Edgeworth
- Il tempo, il capitale e il valore: la teoria dell’interesse di Irving Fisher
- Conclusioni
1. La distribuzione basata sulla produttività marginale: John Bates Clark e Philip Wicksteed

Uno dei primi ambiti in cui i principi del marginalismo furono applicati in modo sistematico fu la distribuzione del reddito.
Gli economisti della seconda generazione si interrogarono su come i fattori produttivi – lavoro, capitale, terra – venissero remunerati, e in che misura tale distribuzione potesse essere considerata “giusta”, o almeno coerente con i meccanismi del mercato.
In questo contesto si colloca il contributo di John Bates Clark, tra i primi a collegare il concetto di produttività marginale alla determinazione dei redditi.
Per comprenderne appieno il significato, è necessario esaminare le ipotesi alla base di questo modello e le implicazioni più ampie che ne derivano.
Clark immaginava un’economia idealizzata, caratterizzata da concorrenza perfetta, in cui numerose imprese e individui operano senza la possibilità di influenzare i prezzi (cioè sono price takers).
Assunse inoltre che i fattori produttivi fossero omogenei, il che implica che tutte le unità di lavoro siano ugualmente qualificate e tutte le unità di capitale ugualmente produttive.
In questo contesto, se un’impresa considera l’assunzione di un lavoratore aggiuntivo, l’aumento della produzione totale attribuibile a quell’unità in più è il suo prodotto marginale.
Immaginiamo, ad esempio, un panificio con cinque fornai che producono 100 pagnotte al giorno.
Se assumiamo un sesto fornaio e la produzione totale sale a 115 pagnotte, significa che il suo prodotto marginale è di 15 pagnotte. Se si assume un settimo fornaio e la produzione sale a 125 pagnotte, il prodotto marginale sarà di 10 pagnotte.
L’esempio mette in risalto il principio dei rendimenti marginali decrescenti: ogni lavoratore aggiuntivo contribuisce un po’ meno del precedente, anche per via di vincoli fisici come la limitata disponibilità di spazio o di attrezzature.
Secondo Clark, le imprese orientate alla massimizzazione del profitto sarebbero disposte a pagare ciascun lavoratore un salario pari al valore del suo prodotto marginale.
Dunque, se una pagnotta vale 2 euro, il sesto fornaio verrebbe retribuito con 30 euro (15 pagnotte × 2 euro) e il settimo con 20 euro (10 pagnotte × 2 euro).
Nell’ipotesi semplificata in cui tutti i lavoratori sono omogenei, ciascuno riceverebbe lo stesso salario, corrispondente al prodotto marginale dell’ultimo lavoratore assunto (in questo caso, 20 euro).
Secondo Clark, lo stesso ragionamento vale anche per il capitale: se aggiungere una macchina permette di aumentare la produzione, il rendimento di quella macchina – sotto forma di interesse o profitto – tenderà a corrispondere al valore del suo contributo marginale.
Clark non vedeva in questa teoria soltanto una spiegazione del modo in cui il reddito viene distribuito, ma anche una giustificazione etica del sistema capitalistico.
Riteneva infatti che, se ogni fattore (lavoro o capitale) riceve esattamente quanto contribuisce alla produzione al margine (cioè il valore del suo ultimo apporto), allora la distribuzione della ricchezza risulta intrinsecamente equa.
A suo giudizio, salari, interessi e profitti non erano il risultato di lotte di potere o di circostanze storiche casuali, ma i legittimi compensi corrisposti in base al contributo che ciascun fattore dava alla produzione.
In altre parole, per Clark ognuno riceve il valore esatto di ciò che aggiunge – per così dire – alla torta complessiva.
Questa prospettiva influenzò profondamente sia il pensiero economico che il dibattito pubblico sull’equità nelle economie di mercato.
È importante ricordare, comunque, che le conclusioni di Clark si basano su ipotesi piuttosto restrittive: concorrenza perfetta e fattori omogenei, due condizioni che raramente si riscontrano nella realtà.
Nel mondo reale, infatti, i lavoratori non sono tutti uguali, molte imprese esercitano un certo potere di mercato e altri elementi – come la contrattazione collettiva o le normative in vigore – incidono sulla distribuzione del reddito.
L’analisi di Philip Henry Wicksteed sulla produttività marginale, invece, si spinse oltre la semplice descrizione del suo ruolo nella distribuzione.
Wicksteed si concentrò in particolare sul cosiddetto “problema dell’esaurimento del prodotto”.
In sostanza, si chiese: se ogni fattore viene pagato in base alla propria produttività marginale, la somma dei pagamenti copre esattamente il valore della produzione totale? Oppure si genera un surplus (un residuo non distribuito) o un disavanzo?
Wicksteed osservò che, affinché i pagamenti totali coincidano esattamente con il valore dell’output, la funzione di produzione sottostante deve avere una proprietà matematica nota come omogeneità di primo grado, associata a rendimenti di scala costanti.
In parole povere, se si raddoppiano tutti gli input (lavoro e capitale), anche l’output deve raddoppiare. Solo in questo caso, il “teorema dell’esaurimento del prodotto” si dimostra valido.
Ad esempio, se 10 lavoratori e 5 macchine producono 1.000 unità con rendimenti di scala costanti, allora raddoppiando le risorse – cioè impiegando 20 lavoratori e 10 macchine – la produzione dovrebbe raddoppiare, raggiungendo esattamente 2.000 unità.
- Se la produzione è superiore (ad esempio 2.200 unità), si parla di rendimenti di scala crescenti: in questo caso, la somma dei pagamenti marginali sarà inferiore al valore del prodotto totale.
- Se la produzione è inferiore (ad esempio 1.800 unità), i rendimenti di scala sono decrescenti, e la somma dei pagamenti marginali risulterà superiore al valore del prodotto, una condizione insostenibile per l’impresa nel lungo periodo.
Attraverso questa analisi, Wicksteed sviluppò una comprensione più ampia del legame tra produzione, distribuzione e le caratteristiche matematiche delle funzioni di produzione.
Sostenne con forza l’universalità del principio della produttività marginale, suggerendo che non si applichi solo ai fattori tradizionali (terra, lavoro, capitale), ma anche alla gestione, ovvero alle capacità imprenditoriali, e ad altri input.
Il suo obiettivo era costruire una teoria coerente e unificata di come il valore viene generato e distribuito nell’economia, basandosi sul principio dei contributi marginali.
Con Wicksteed, la teoria marginalista della distribuzione acquisisce una solida coerenza formale, ancorata a condizioni matematiche precise.
2. Moneta, interesse e cicli economici: la prospettiva di Knut Wicksell

Knut Wicksell introdusse una prospettiva innovativa nella teoria marginalista, integrando la teoria monetaria con la nascente comprensione dell’economia reale basata sulla produttività marginale.
È noto soprattutto per aver sviluppato i concetti di tasso di interesse naturale e tasso di interesse di mercato.
Secondo Wicksell, il tasso naturale è il livello teorico del tasso d’interesse che eguaglierebbe risparmio e investimento in un'economia in cui tutti i prestiti vengono effettuati in termini reali, ovvero attraverso lo scambio diretto di beni.
Possiamo immaginare il tasso naturale come il rendimento “reale” del capitale nell’economia, determinato da fattori strutturali come il progresso tecnologico (che aumenta la produttività del capitale) e la propensione al risparmio degli individui.
Il tasso di interesse di mercato, invece, è quello effettivamente applicato dalle banche e osservabile nel mercato finanziario: viene stabilito dall’incontro tra domanda e offerta di liquidità, nonché dalle decisioni degli istituti bancari, come l'ammontare di credito concesso.
Secondo Wicksell, una divergenza tra tasso naturale e tasso di mercato può generare effetti macroeconomici rilevanti, dando origine a un processo cumulativo di inflazione o deflazione.
Vediamo come funziona questo meccanismo: se il tasso di mercato (cioè il tasso bancario) scende al di sotto del tasso naturale (il rendimento reale del capitale), il ricorso al credito diventa più conveniente.
Gli imprenditori, attratti da un costo del prestito inferiore al rendimento atteso degli investimenti, saranno incentivati a investire di più. L’aumento degli investimenti stimola la domanda aggregata (per macchinari, materie prime, forza lavoro) e, se l’economia è vicina alla piena capacità produttiva, ciò può tradursi in un aumento dei prezzi, cioè inflazione.
Il processo è definito "cumulativo" perché l’inflazione generata può spingere ulteriormente verso l’alto il tasso naturale, mantenendo il divario con quello di mercato e prolungando la dinamica inflazionistica.
Al contrario, se il tasso di mercato supera il tasso naturale, il credito diventa relativamente costoso. Gli investimenti si riducono poiché il rendimento atteso non giustifica il costo del prestito, con conseguente calo della domanda aggregata e possibile discesa dei prezzi, ovvero deflazione.
Il contributo di Wicksell fu determinante nel mettere in evidenza il legame tra economia reale (produzione, investimenti) e sistema monetario (tassi d’interesse, credito bancario).
Le sue intuizioni hanno avuto una profonda influenza nello sviluppo della teoria macroeconomica, anticipando elementi centrali sia nella teoria austriaca del ciclo economico sia nelle moderne politiche monetarie.
Ancora oggi, molte banche centrali orientano implicitamente le proprie decisioni cercando di mantenere i tassi di interesse di mercato in prossimità di una stima del tasso naturale, con l’obiettivo di preservare la stabilità dei prezzi.
3. Utilità, scambio ed efficienza: il rigore matematico di Francis Y. Edgeworth

Pur profondamente legato al formalismo matematico, Francis Ysidro Edgeworth ebbe delle intuizioni decisive per la comprensione del pensiero marginalista e, in particolare, della teoria dell’utilità.
Nella sua opera più originale, Mathematical Psychics, pubblicata nel 1881, Edgeworth elaborò un quadro analitico avanzato per lo studio dello scambio tra individui.
Tra i suoi contributi più noti figura l’introduzione del concetto di curva di indifferenza: una rappresentazione grafica delle combinazioni di due beni che offrono al consumatore lo stesso livello di utilità o soddisfazione.
Immaginiamo, ad esempio, che vi piacciano sia le mele che le arance. Una curva di indifferenza potrebbe includere combinazioni come 5 mele e 1 arancia, 3 mele e 2 arance, oppure 2 mele e 4 arance: tutte opzioni che vi rendono ugualmente soddisfatti.
Curve situate più in alto (cioè più lontane dall’origine degli assi) misurano livelli maggiori di soddisfazione. L’insieme di tutte le curve di indifferenza descrive le preferenze del consumatore.
Quando due individui avviano uno scambio volontario partendo da una dotazione iniziale di beni (per esempio, Tizio ha molte mele e poche arance, mentre Caio possiede l’opposto), possono entrambi aumentare la propria utilità, spostandosi verso curve di indifferenza sempre più elevate.
Questa dinamica può essere rappresentata graficamente attraverso la scatola di Edgeworth: un diagramma che mostra le quantità totali disponibili di due beni e le rispettive preferenze dei due individui, sovrapposte nello stesso spazio.
Ogni punto all'interno della scatola rappresenta una possibile allocazione dei beni tra i due soggetti, e consente di visualizzare sia le curve di indifferenza sia le traiettorie degli scambi:
Un esempio di scatola di Edgeworth
Il processo si arresta quando le curve di indifferenza dei due soggetti diventano tangenti: in quel punto, entrambi hanno raggiunto il massimo miglioramento possibile senza che uno debba sacrificarsi per favorire l’altro.
Il luogo geometrico di tutti questi punti di tangenza costituisce quella che Edgeworth definì curva dei contratti, che rappresenta tutte le allocazioni Pareto-efficienti: situazioni in cui non è possibile migliorare la condizione di un individuo senza peggiorare quella dell’altro.
Il lavoro di Edgeworth fornì una base matematica solida per il concetto di scambio reciprocamente vantaggioso e per la definizione di efficienza economica (in particolare, quella che sarà poi formalizzata da Vilfredo Pareto, profondamente influenzato dall’opera di Edgeworth).
Nonostante la complessità matematica della sua analisi, l’intuizione di fondo è semplice: attraverso scambi volontari, individui mossi dal proprio interesse possono raggiungere risultati efficienti, sfruttando pienamente i benefici del commercio.
L'analisi di Edgeworth pose le basi per importanti sviluppi della microeconomia, in particolare nei campi dell’equilibrio generale e dell’economia del benessere.
4. Il tempo, il capitale e il valore: la teoria dell’interesse di Irving Fisher

I contributi di Irving Fisher alla teoria del capitale e dell’interesse fornirono una spiegazione chiara e duratura dell’origine e della determinazione dei tassi di interesse.
Fisher enfatizzò il ruolo della preferenza temporale, ovvero la tendenza degli individui a preferire il consumo immediato rispetto a quello futuro.
Ad esempio, la maggior parte delle persone preferisce avere 100 euro oggi piuttosto che 100 euro tra un anno, anche in assenza di inflazione.
È proprio questa "impazienza" che costituisce ciò che definiamo preferenza temporale.
La preferenza temporale è influenzata da diversi fattori: l’inclinazione personale a posticipare la gratificazione, la percezione del rischio legato ai rendimenti futuri e le aspettative di reddito. Se una persona prevede di guadagnare di più in futuro, potrebbe essere più incline a rinviare il consumo, sapendo che domani avrà maggiori risorse per soddisfare desideri più ampi o costosi.
Parallelamente, anche le opportunità di investimento influiscono sul tasso d’interesse: esse rappresentano la capacità dell’economia di trasformare risorse presenti in beni e servizi futuri.
Investire oggi in attività produttive, come costruire una fabbrica o piantare un frutteto, può generare un flusso di reddito nel tempo: queste attività rappresentano le opportunità di investimento attraverso cui l’economia trasforma risorse presenti in reddito futuro.
Secondo Fisher, il tasso di interesse nasce proprio dall’equilibrio tra queste due forze: da un lato, la disponibilità degli individui a posticipare il consumo (ossia il “prezzo” richiesto per aspettare); dall’altro, il rendimento potenziale degli investimenti.
Il tasso d’interesse agisce dunque come un prezzo di equilibrio tra propensione al risparmio e incentivo all’investimento.
Se la preferenza temporale è elevata (ovvero gli individui sono fortemente impazienti) e le opportunità di investimento sono scarse, il tasso d’interesse tenderà ad alzarsi per incoraggiare il risparmio. Viceversa, se la propensione al risparmio è alta e l’economia offre molte occasioni redditizie, il tasso potrà essere più contenuto.
Fisher riassumeva il legame tra capitale e rendimento affermando che “Il reddito derivante dal capitale è l’anello di congiunzione tra capitale e reddito stesso”. In pratica, il capitale (che può essere un macchinario o un’obbligazione) genera reddito futuro sotto forma di interessi o profitti.
Il tasso d’interesse serve a trasformare quel reddito futuro in un valore attuale: è il meccanismo che ci permette di valutare oggi ciò che sarà prodotto o guadagnato domani.
Oltre ai suoi studi sul capitale, Fisher fu anche un importante sostenitore della teoria quantitativa della moneta. La sua celebre equazione dello scambio, M × V = P × T, descrive la relazione tra:
- M: offerta di moneta.
- V: velocità di circolazione della moneta (cioè quante volte ogni unità monetaria viene spesa in un dato periodo).
- P: livello generale dei prezzi.
- T: volume delle transazioni o della produzione reale.
Secondo Fisher, se V e T sono relativamente stabili nel breve periodo – poiché determinati da fattori istituzionali e reali – allora un aumento dell’offerta di moneta (M) non compensato da un aumento della produzione (T) comporta un aumento proporzionale dei prezzi (P): in altre parole, inflazione.
Sebbene i suoi contributi sui tassi d’interesse (fenomeno reale) e quelli sul livello dei prezzi (fenomeno monetario) possano sembrare separati, entrambi facevano parte del più ampio sforzo di Fisher per comprendere le forze fondamentali che regolano l’attività economica e per distinguere grandezze nominali e reali.
Fisher riuscì a collegare due mondi che spesso venivano analizzati separatamente: quello delle decisioni individuali sul consumo e il risparmio, e quello della moneta e dei prezzi. La sua eredità teorica continua a influenzare la macroeconomia contemporanea, dimostrando quanto il tempo e l’attesa siano centrali nella logica economica.
5. Conclusioni
Gli economisti marginalisti della seconda generazione elaborarono un impianto teorico più articolato, fondato sui principi del valore soggettivo.
Clark e Wicksteed approfondirono il tema della distribuzione del reddito secondo la produttività marginale: il primo ne trasse anche implicazioni etiche, sostenendo che una distribuzione basata sul contributo marginale fosse intrinsecamente equa; il secondo si concentrò invece sulle condizioni matematiche necessarie per garantire la coerenza della teoria, in particolare l’ipotesi di rendimenti di scala costanti, che assicura l’esaurimento del prodotto.
Wicksell introdusse la dimensione monetaria nell’analisi marginalista, distinguendo tra tasso d’interesse naturale (reale) e tasso di mercato (monetario), e spiegando come il disallineamento tra i due possa generare dinamiche inflazionistiche o deflattive.
Edgeworth fornì una rigorosa formalizzazione matematica della teoria dello scambio volontario e dell’efficienza, introducendo strumenti come le curve di indifferenza e la curva dei contratti, e mostrando come l’interazione tra individui possa condurre a esiti Pareto-efficienti attraverso la massimizzazione dell’utilità.
Fisher, infine, propose una spiegazione strutturata della formazione del tasso d’interesse, vista come il risultato dell’interazione tra la preferenza temporale e le opportunità di investimento. A ciò affiancò una riflessione approfondita sul ruolo della moneta, espressa nella sua versione moderna della teoria quantitativa, sintetizzata nella celebre equazione dello scambio.
Nel loro insieme, questi contributi segnarono un importante passo avanti nella costruzione della teoria economica moderna, gettando le basi per l'evoluzione della microeconomia e della macroeconomia.
Le idee, i concetti e gli strumenti sviluppati da questi autori continuano ancora oggi a influenzare la nostra comprensione del funzionamento delle economie di mercato e restano punti di riferimento nell’analisi economica contemporanea.
La collezione di articoli sulla "Storia del pensiero economico" contiene:
1. Il progetto di organizzazione sociale di Platone
2. La critica di Aristotele alla dottrina economica di Platone
6. L'economia classica: Un nuovo approccio all'economia politica
7. L'economia classica: Smith e Ricardo – Il valore della merce
8. L'economia classica: La distribuzione del reddito
9. L'economia classica: Jean-Baptiste Say
10. L'economia classica: Il pensiero di Malthus e Sismondi
11. L'economia classica: Il cammino verso lo stato stazionario e il commercio estero
12. L'economia classica: John Stuart Mill, l'ultimo economista classico
13. Il socialismo utopistico di Charles Fourier
14. Karl Marx: La sua filosofia di pensiero
15. Karl Marx: Una nuova interpretazione del processo di accumulazione del capitale
16. Karl Marx: La teoria del valore
17. Karl Marx: La teoria del plusvalore. Lo sfruttamento capitalistico
18. Karl Marx: La caduta tendenziale del saggio di profitto
19. Karl Marx: Le caratteristiche della società socialista
20. L'economia neoclassica: La rivoluzione marginalista
21. L'economia neoclassica: La Scuola Austriaca di Economia. Origini, sviluppi ed eredità
22. L’Economia neocassica: I contributi di Clark, Wicksteed, Wicksell, Edgeworth e Fisher
23. Alfred Marshall
24. John Maynard Keynes (più articoli)
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