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2. I principi della finanza comportamentale: bias cognitivi e comportamenti irrazionali

2. I principi della finanza comportamentale: un'introduzione ai bias cognitivi e ai comportamenti irrazionali


08Dic2024

Information
Andrea Gonzali Finanza comportamentale 291 hits
Prima pubblicazione: 08 Dicembre 2024 Stampa

«Las Vegas is busy every day, so we know that not everyone is rational».

Charles Ellis

La finanza comportamentale mette in discussione uno dei pilastri della teoria economica tradizionale: l'idea che le persone siano attori razionali, guidati unicamente dal proprio interesse.

Per lungo tempo, i modelli classici hanno descritto gli individui come freddi calcolatori di costi e benefici, ma l'osservazione della vita reale e le evidenze empiriche mostrano una realtà molto diversa.

Le nostre decisioni non dipendono soltanto da un guadagno personale immediato; entrano in gioco molteplici fattori: il desiderio di aiutare gli altri, la ricerca di approvazione sociale, l'influenza del contesto in cui ci muoviamo e persino il modo in cui ci viene presentata una scelta.

La finanza comportamentale vuole cogliere proprio queste sfumature, offrendo una comprensione più completa e realistica di ciò che davvero ci spinge ad agire.

Indice

  1. Preferenze sociali: oltre il puro interesse personale
  2. Preferenze temporali: il peso del presente sulle scelte future
  3. Le distorsioni cognitive nel processo decisionale
  4. Conclusioni

1. Preferenze sociali: oltre il puro interesse personale

Paul Nash, Footballers prefer shell (1935)

«Self-interest is but the survival of the animal in us. Humanity only begins for man with self-surrender».

Henri-Frédéric Amiel

Un primo ambito di studio riguarda le preferenze sociali, cioè quell’insieme di inclinazioni che spingono le persone ad agire non soltanto in funzione di un guadagno materiale, ma anche sulla base di aspetti morali, relazionali e psicologici.

Per la teoria economica tradizionale, gli individui sono agenti razionali che mirano esclusivamente a massimizzare il proprio tornaconto: le decisioni prese sarebbero dunque valutate e selezionate in base all’utilità attesa in termini strettamente personali.

Eppure, osservando il comportamento umano nel mondo reale, emerge un quadro assai più ricco e complesso, nel quale motivazioni non strettamente economiche giocano un ruolo determinante.

Un esempio evidente di questa complessità è la beneficenza. All’interno di una visione classica, donare denaro, tempo o altri tipi di risorse senza ottenere nulla in cambio appare una scelta irrazionale.

Se l’obiettivo è massimizzare il profitto, perché mai dovremmo rinunciare a parte dei nostri beni per sostenere persone sconosciute, associazioni o cause da cui non trarremo un vantaggio diretto?

Qui entra in gioco la finanza comportamentale, che riconosce un ventaglio di motivazioni capaci di spiegare tali scelte apparentemente “non economiche”.

Tra questi fattori spicca un genuino altruismo, la volontà di fare del bene agli altri semplicemente perché lo si ritiene moralmente giusto. Non è necessaria una contropartita: il solo sapere di aver contribuito al benessere altrui può rappresentare una ricompensa sufficiente.

Vi è poi il piacere intrinseco del gesto solidale, quel “calore interiore” che ci fa sentire bene nel momento stesso in cui aiutiamo qualcuno. Questo tipo di gratificazione psicologica non produce necessariamente un profitto monetario, ma arricchisce il nostro benessere emotivo e la nostra autostima.

Un altro aspetto significativo è l’orgoglio di apparire generosi e affidabili agli occhi della comunità. La nostra reputazione ha un peso sociale rilevante: donare per una buona causa può migliorare l’immagine che gli altri hanno di noi, consolidando legami di fiducia, stima e rispetto.

La reciprocità svolge un ulteriore ruolo fondamentale. Quando qualcuno ci aiuta o dimostra generosità nei nostri confronti, si attiva in noi il desiderio naturale di contraccambiare, creando così circuiti virtuosi di cooperazione tra le persone.

Questa dinamica costruisce fiducia, rafforza il senso di appartenenza e incoraggia un clima di mutuo sostegno.

Infine, c’è il senso di giustizia e di equità. Anche quando un accordo potrebbe portarci un vantaggio, se lo percepiamo come palesemente ingiusto potremmo rinunciarvi per non avallare un meccanismo contrario ai nostri principi etici.

Questa dimensione morale influisce sui comportamenti economici, inducendo a rifiutare compromessi ritenuti sleali, perfino quando ciò comporta un costo personale.

In questo senso, l’adesione a un codice di valori condiviso diventa un parametro chiave nella definizione di ciò che consideriamo un esito soddisfacente o accettabile.

Non siamo soltanto “macchine da profitto” limitate a calcoli razionali di costi e benefici, ma individui plasmati da un intreccio di valori, emozioni, norme sociali e sentimenti.

La finanza comportamentale, riconoscendo l’importanza di queste forze, ci offre una visione più completa e realistica della natura umana.

Capire queste dinamiche significa interpretare in modo più accurato il funzionamento dei mercati, delle istituzioni e dei processi decisionali, rendendo più efficace la progettazione di politiche pubbliche, meccanismi di cooperazione e sistemi di incentivi.

2. Preferenze temporali: il peso del presente sulle scelte future

Rene Magritte, The present (1939)

«We are made wise not by the recollection of our past, but by the responsibility for our future».

George Bernard Shaw

Le preferenze temporali costituiscono uno dei temi centrali della finanza comportamentale, poiché mettono in evidenza il modo in cui le persone valutano i costi e i benefici futuri rispetto a quelli immediati.

I modelli tradizionali presuppongono che gli individui siano in grado di analizzare con lucidità le conseguenze delle proprie scelte nel lungo termine, valutando in modo coerente i vantaggi futuri contro i sacrifici richiesti nel presente.

Nella realtà, invece, le nostre decisioni sono spesso influenzate da una marcata “deviazione verso il presente” (present bias), un fenomeno che ci porta a dare un peso eccessivo alle gratificazioni immediate rispetto a quelle che potremmo ottenere in un secondo momento.

In altre parole, ciò che è immediato ci appare più concreto e desiderabile, mentre i benefici futuri tendono ad apparire sfumati, incerti o comunque meno stimolanti.

Questa inclinazione è radicata nella nostra psicologia e nella nostra esperienza quotidiana: percepiamo il presente come certo e tangibile, mentre il futuro rimane, per definizione, incerto e meno nitido.

Un esempio lampante di questa dinamica è la gestione del proprio regime alimentare. Possiamo pianificare di perdere peso nei prossimi mesi, creare un programma di allenamento e stabilire obiettivi chiari per migliorare la salute e la forma fisica.

Ma quando siamo a tavola, la tentazione di un cibo calorico ma poco salutare si rivela spesso irresistibile. La bontà di un dessert, di uno snack o la gratificazione di un cibo molto saporito hanno su di noi un impatto immediato, superando nella nostra percezione il beneficio futuro di essere in forma, più sani o più soddisfatti della nostra linea tra qualche settimana.

Questo stesso principio si applica a una vasta gamma di situazioni. Possiamo essere estremamente razionali e lungimiranti quando discutiamo delle nostre finanze a lungo termine: ad esempio, valutando l’importanza di risparmiare per la pensione o di investire in maniera efficace per garantirci il nostro benessere futuro.

Quando ci troviamo con del denaro in tasca o nel nostro conto corrente, però, la tentazione di spenderlo immediatamente — per un nuovo gadget, un’esperienza piacevole o un acquisto impulsivo — tende a prevalere sulla decisione di metterlo da parte per trarne un beneficio maggiore in futuro.

Allo stesso modo, un paziente può essere perfettamente consapevole dell’importanza di prevenire certe malattie o di aderire a trattamenti a lungo termine ma, davanti all’incombenza di un esame medico non urgente, potrebbe rimandare, cedendo alla pigrizia o all’insofferenza per le procedure.

Il conflitto tra la persona che siamo oggi e quella che vorremmo essere domani non è solo un concetto astratto, ma ha effetti reali sulla nostra vita.

Le scelte riguardanti il risparmio previdenziale, la cura della salute, l’impegno in attività sportiva e l’adozione di abitudini virtuose risentono di questa tensione continua tra ciò che desideriamo adesso e ciò che razionalmente sappiamo essere migliore per il nostro domani.

Il risultato è che potremmo non raggiungere i nostri obiettivi di lungo termine, o trovarci a dover correre ai ripari quando ormai le circostanze ci hanno imposto costi molto più elevati e, in certi casi, quando ormai è troppo tardi.

La finanza comportamentale, mettendo in luce queste dinamiche, ci offre una chiave per comprendere perché gli individui — pur essendo teoricamente in grado di valutare il proprio futuro con lucidità — fatichino a mantenere la disciplina necessaria per raggiungere risultati migliori sul lungo periodo.

Questa consapevolezza ha applicazioni importanti sia a livello personale sia a livello di politiche pubbliche, imprese e istituzioni finanziarie.

Ad esempio, comprendere l’effetto del “present bias” può spingere chi progetta prodotti di investimento a rendere più semplici e accessibili le scelte virtuose, così da rendere la prospettiva del guadagno futuro meno sfocata e distante.

Nel campo della salute, programmi che segmentano gli obiettivi in tappe intermedie con ricompense più vicine nel tempo possono aiutare le persone a non perdere di vista i propri propositi.

Analogamente, per l’istruzione o la formazione continua, creare sistemi di feedback rapidi, certificazioni intermedie o piccoli riconoscimenti può rendere più facile mantenere la motivazione.

Il peso del presente sulle scelte future ci ricorda che non siamo agenti perfettamente razionali, capaci di valutare con equilibrio ogni aspetto della nostra esistenza nel tempo.

Siamo esseri complessi, influenzati da emozioni, percezioni e impulsi momentanei. Riconoscere questo dato di fatto non è un segno di debolezza, bensì un passo verso una maggiore consapevolezza di noi stessi.

3. Le distorsioni cognitive nel processo decisionale

Mario Ballocco, Sequenze quadrangolari - Concetto di distorsione (1964)

«Nemo iudex in causa sua».

Corpus iuris civilis

Un altro aspetto cruciale che la finanza comportamentale mette in luce riguarda la nostra tendenza a elaborare le informazioni attraverso meccanismi cognitivi che influenzano il modo in cui giudichiamo le probabilità degli eventi e valutiamo i rischi.

La teoria classica presuppone che, di fronte a dati chiari e completi, le persone siano in grado di ragionare con coerenza logica, traendo conclusioni impeccabili.

La realtà, però, ci racconta una storia molto diversa: i processi mentali sono influenzati da euristiche, scorciatoie cognitive che ci permettono di prendere decisioni rapide, ma non sempre corrette.

Prendiamo ad esempio il caso dei test medici per patologie rare. Un risultato positivo non equivale necessariamente a un’elevata probabilità di essere malati.

Nonostante questo, molti confondono l’accuratezza del test con le reali possibilità di aver contratto la malattia, ignorando la bassa incidenza statistica del disturbo nella popolazione.

L'interpretazione semplificata dei dati porta a questo tipo di errore, in cui le persone tendono a concentrarsi su un solo indicatore (l’esito del test) senza considerare tutte le informazioni rilevanti (come la rarità della condizione).

Le distorsioni del giudizio sono legate alle euristiche che, da un lato, semplificano la complessità del mondo — aiutandoci a decidere velocemente in situazioni incerte — dall’altro possono portarci fuori strada, inducendoci a sottovalutare o sopravvalutare probabilità, rischi e conseguenze.

Queste scorciatoie mentali non sono indice di scarsa intelligenza, ma di una strategia evolutiva: il cervello umano non è progettato per calcoli probabilistici rigorosi, ma per elaborare in modo efficiente un’enorme quantità di stimoli, anche a costo di qualche approssimazione.

Un altro fenomeno molto diffuso è l’overconfidence, l’eccessiva sicurezza in sé stessi. Un classico esempio è dato dagli automobilisti: la maggior parte ritiene di guidare meglio della media, cosa che rappresenta un evidente paradosso.

Questo eccesso di fiducia tocca diversi ambiti: investitori convinti di poter battere costantemente il mercato, imprenditori che sottostimano le difficoltà dell’avviare un’azienda, professionisti che sovrastimano la propria capacità di rispettare le scadenze.

Un certo grado di ottimismo può risultare utile per motivarsi e affrontare sfide impegnative, ma quando la sicurezza supera un certo limite diventa pericolosa: si finisce per prendere decisioni avventate, trascurare i rischi reali e, di conseguenza, andare incontro a risultati deludenti.

Oltre alle distorsioni interne, anche la modalità con cui le informazioni vengono presentate può influenzare le nostre scelte. È il cosiddetto framing: la stessa decisione, se inquadrata in termini positivi anziché negativi, induce reazioni differenti.

Un classico esempio è la descrizione di una terapia medica: se si evidenzia che “il 90% dei pazienti sopravvive” invece di dire “il 10% dei pazienti muore”, i soggetti sono più disposti ad accettare la cura, nonostante i dati siano sostanzialmente identici.

Questo effetto si verifica perché il nostro cervello tende a reagire in maniera diversa a seconda del contesto narrativo: le parole utilizzate, l’ordine delle informazioni, il tono emotivo possono influenzare la percezione del rischio e del beneficio.

Un altro meccanismo di distorsione è il cosiddetto ancoraggio: quando dobbiamo fare una stima numerica, tendiamo a farci influenzare da un numero che abbiamo sentito in precedenza, anche se non è rilevante.

Per esempio, se dovessimo indovinare quanti paesi fanno parte di un'organizzazione internazionale, e qualcuno ci chiedesse prima "Pensi che siano più o meno di 50?", la nostra stima finale sarebbe inconsciamente influenzata da quel numero 50.

L’ancoraggio dimostra quanto il nostro giudizio possa essere plasmato da riferimenti numerici arbitrari, inserendo nella nostra mente una sorta di punto di partenza che non riusciamo a ignorare.

Comprendere queste distorsioni cognitive ha due vantaggi:

  • Ci aiuta a capire perché, in certi casi, le persone prendono decisioni che appaiono illogiche o controproducenti.
  • Ci permette di sviluppare soluzioni più efficaci.

Ad esempio, quando si comunica un'informazione sulla salute, è importante presentare tutti i dati rilevanti in modo chiaro e completo. Non basta dire che un test è accurato al 90%: bisogna anche spiegare cosa significa questo numero nel contesto specifico, aiutando le persone a interpretare correttamente i risultati.

Laddove si vogliano favorire scelte di risparmio più oculate, si possono introdurre “spinte gentili” (nudge) che tengano conto della tendenza all’ancoraggio o all’overconfidence, creando ambienti decisionali più equilibrati.

L’esistenza dei bias cognitivi ci ricorda che il nostro modo di ragionare non è perfettamente razionale e logico. Siamo esseri complessi, guidati da emozioni, convinzioni preesistenti e modelli mentali costruiti sull’esperienza.

La finanza comportamentale, svelando e analizzando queste dinamiche, ci offre la possibilità di comprendere meglio noi stessi, di progettare interventi più efficaci e di prendere decisioni più consapevoli, allineate ai nostri veri interessi e valori.

4. Conclusioni

La finanza comportamentale, con il suo approccio interdisciplinare, ci aiuta a comprendere meglio l’economia reale.

Tenendo conto di spinte emotive, percezioni errate e influenze sociali, non si limita a descrivere gli agenti come macchine decisionali, ma le considera nella loro complessità, con le loro emozioni, percezioni e influenze sociali.

In questo modo, diventa possibile immaginare strumenti e interventi che, anziché scontrarsi con i nostri limiti, ne tengano conto per favorire una maggiore coerenza tra intenti e azioni.

Questa prospettiva può ispirare riforme nelle politiche pubbliche, stimolare innovazioni in ambito finanziario e orientare le scelte individuali verso soluzioni più equilibrate, aiutandoci a costruire un futuro in cui efficienza e benessere possano finalmente andare di pari passo.


LEZIONI DI FINANZA COMPORTAMENTALE

1. Che cos'è la finanza comportamentale: quando psicologia e finanza convergono

2. I principi della finanza comportamentale: un'introduzione ai bias cognitivi e ai comportamenti irrazionali

Disclaimer

Tutti i tipi di investimento sono rischiosi. Il livello di rischio può essere più o meno alto e i rendimenti possono variare al rialzo o al ribasso. Ogni investimento è soggetto al rischio di perdita.
I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri.