Investimenti azionari: perché no?
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- Prima pubblicazione: 28 Marzo 2021
«Le due parole più brevi e più antiche, sì e no, sono quelle che richiedono maggior riflessione».
Pitagora
I risultati dell'ultimo sondaggio intitolato "L'approccio alla finanza e agli investimenti delle famiglie italiane" sono stati pubblicati dalla Consob il 10 dicembre 2020 in un Report apposito. È stato intervistato un campione composto da 3.274 individui, rappresentativo dei decisori finanziari italiani (1.105 di questi erano stati intervistati anche nei due anni precedenti).
Lo scopo dell'indagine è stato quello di ottenere informazioni su come le famiglie italiane gestiscono le decisioni di investimento e quali siano i principali rischi a esse associati.
Nei maggiori paesi europei, la crisi scatenatasi a causa del COVID-19 ha causato una rinnovata preferenza per la liquidità: il primo semestre del 2020 ha visto un calo degli investimenti in azioni, obbligazioni e quote di fondi comuni.
In Italia, sembra confermarsi una tendenza consolidatasi nell'ultimo decennio, che ha visto diminuire il peso di azioni e obbligazioni e aumentare la quota di liquidità e di prodotti assicurativi e previdenziali.
Un dato interessante riguarda le gestioni collettive: i fondi comuni aperti di diritto italiano sono principalmente di tipo obbligazionario o flessibile, mentre i fondi monetari si sono quasi azzerati negli ultimi 10 anni. Il patrimonio è composto da obbligazioni pubbliche e private (57%), da azioni (17%) e da quote di fondi comuni (26%).
Tra i fattori che disincentivano l’investimento emergono la mancanza di risparmi da investire, la mancanza di fiducia e il basso livello di conoscenza finanziaria (il primo motivo è di gran lunga prevalente rispetto agli altri).
Gli esperti (consulenti finanziari o gestori) si confermano la fonte informativa più frequentemente citata nel 2020 sebbene, rispetto al 2019, risulti in crescita la quota di intervistati che utilizza anche la documentazione relativa al prodotto offerto (prospetto informativo, scheda prodotto ecc.) e altre fonti specializzate, quali riviste di settore o siti web.
Come viene scelto il consulente finanziario? Prevalentemente dalla segnalazione ricevuta dalla propria banca di riferimento e dalle competenze del professionista. Tra i disincentivi all'utilizzo di un consulente troviamo la sfiducia e la convinzione che il servizio non sia necessario alla luce del limitato ammontare delle somme investite e della mancata percezione del valore aggiunto del servizio stesso.
La percezione dei costi e del valore del servizio di consulenza è ancora molto bassa: il 18% ritiene che sia un servizio prestato a titolo gratuito, mentre il 54% crede che non abbia un costo per il cliente. Inoltre, solo il 32% degli individui intervistati è disposto a pagare per il servizio di consulenza.
I dati elencati sono una piccola parte delle numerose informazioni contenute nel report pubblicato dalla Consob. Abbiamo selezionato quelle che ci sembravano più rilevanti.
Che conclusioni possiamo trarre?
In Italia, la cultura finanziaria è ancora scarsa. Tra le inevitabili conseguenze abbiamo che l'investimento azionario è basso: come abbiamo visto, il 17% degli intervistati possiede delle azioni e soltanto il 26% detiene quote di fondi comuni di investimento (dei quali, probabilmente, soltanto una parte minoritaria è azionaria).
Negli Stati Uniti, ad esempio, la percentuale di famiglie che detengono azioni o fondi azionari è superiore al 50%.
Se è vero che l'investimento azionario ha il più alto rendimento atteso, è altrettanto vero che possederne una quantità eccessiva non è necessariamente un bene: le azioni di singole società o i fondi azionari poco diversificati sono strumenti finanziari molto rischiosi.
Tuttavia, investire in maniera corretta non è difficile: il rischio può essere controllato.
Investire in azioni per l'italiano medio significa ancora troppe volte una di queste cose:
- Indovinare la società le cui azioni quest'anno daranno un mega-rendimento (di solito grazie alla soffiata dell'amico dell'amico che lavora nel settore o che conosce il direttore di filiale).
- Innamorarsi delle azioni di una società specifica, scelta non si sa bene secondo quali criteri, che rimarrà in portafoglio per tutta la vita: o perché il suo prezzo è effettivamente salito ma dovrà salire ancora (ha ancora potenziale), o perché, pur perdendo parecchio nonostante i vari tentativi di far scendere il prezzo medio di carico, prima o poi tornerà su: "se non risalirà, la lascerò in eredità ai miei figli" (i meno giovani ricorderanno senz'altro il crollo del prezzo di Tiscali, avvenuto in seguito allo scoppio della bolla dotcom).
- Investire solo ed esclusivamente nelle immarcescibili ENI o ENEL: non possono fallire e danno un bel dividendo.
Le cose stanno lentamente cambiando e alcuni investitori hanno iniziato a informarsi meglio, scoprendo che investire anche in azioni non solo è possibile senza rischiare troppo, ma che in molti casi è un'ottima soluzione.
L'ottica, però, deve essere rivista: non è consigliabile investire soltanto in una o in poche azioni (Home Country Bias); è raccomandabile invece investire nel mercato azionario globale, attraverso fondi comuni di investimento (che prevedono una gestione attiva, quindi con commissioni abbastanza alte) e soprattutto ETF (che replicano un indice, quindi a gestione passiva e molto più economici).
Alcuni investitori hanno iniziato a capire che il rischio di chiudere un investimento nel mercato azionario con un rendimento negativo è tanto più alto quanto più l'orizzonte temporale è a breve termine (e viceversa).
Il mercato azionario è sì rischioso, ma lo è soprattutto se si sbaglia l'approccio: servono una propensione al rischio medio-alta, un orizzonte temporale di lungo termine (10 anni almeno; se sono di più, tanto meglio) e una corretta diversificazione, anche temporale.
Altrimenti non si sta investendo; si sta solo scommettendo con il mercato.